Ho visto “L’intrepido”

I trailer del cinema italiano si sforzano di far apparire brillanti anche quei film che non lo sono. Così accade per L’intrepido. Sono montati in sequenza frammenti che possono apparire divertenti. In realtà non è così. E’ un film triste e pessimista. Ma ugualmente non bisogna aver timore di andare a vedere un film triste e pessimista. Questa è la visione di Amelio e Albanese, che tuttavia nel personaggio di Antonio Pane si sforza di avere un atteggiamento positivo di fronte a tutte le vicissitudini. Che sono tante. Figlio musicista, introverso e sempre in attesa di un successo che non arriva. Moglie andata via, lontano da un uomo inconcludente. Antonio affida così la sua vita a un camorrista di mezza tacca (cameo di Alfonso Santagata) che gestice una palestra e un giro di ‘rimpiazzi’, che se fatti in maniera legale si chiamerebbero ‘lavoro interinale’. Antonio si adatta a tutto, cambiando lavoro ogni giorno: operaio edile, tranviere, addetto alle pulizie a San Siro o nelle pescherie all’ingrosso, pony express e tanto altro ancora. Sempre con un atteggiamento positivo (o fatalista), sempre nella ‘emme’ ma sempre pronto ad aiutare disinteressatamente gli altri, come nel caso della giovane Lucia che poi finisce miseramente. Il suo buonismo non lo porterà da nessuna parte e finirà (tautologicamente) a fare il minatore in Albania.
Fisso tre sequenze da ricordare. Il dialogo in discoteca – in apparenza banale, in realtà intenso – con la giovane Lucia. L’incontro in un locale sui Navigli tra Pane, trasformato in venditore di rose, e la moglie ora compagna di un imprenditore ‘bauscia’. L’onirico rimpiazzo che Antonio Pane fa nei confronti del figlio sul palco di un concerto: al sassofono attacca Nature Boy, versione struggente del classico di Nat King Cole, e subito dopo il figlio ritrova il coraggio di ritornare a esibirsi.
Mi risulta che il film non stia avendo un grande successo, ma sono convinto che tra qualche anno L’intrepido sarà rivalutato e apprezzato. Quando anche il Lavoro smetterà di essere oltraggiato.
Un maestro della fotografia come Luca Bigazzi immagina una Milano che si direbbe non esistere, ma che Lucio Dalla aveva già previsto: Milano che come un uccello
gli sparano ma anche riprende il volo.

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