Ho letto “La mano” di Henning Mankell

Guardò il calendario da tavolo. Anno 2002. Mese di ottobre. Erano più di trent’anni che faceva il poliziotto. Da agente di pattuglia per le vie di Malmö era diventato un investigatore esperto e rispettato che aveva portato a termine con successo molte difficili indagini su reati gravi.
E’ un ‘mankellino’ piccolo piccolo se confrontato con le altre corpose storie su Kurt Wallander il commissario della polizia di Ystad. Di conseguenza si legge in fretta, addirittura pochi minuti, giusto per riassaporare il gusto di queste inchieste. Come dice lo stesso Henning Mankell in postfazione “cronologicamente si colloca prima di L’uomo inquieto, l’ultimo racconto della serie e non esistono altre storie di Kurt Wallander”. Dunque, a noi orfani di Wallander, non resta che leggere La mano.
Una mano spunta dal terreno semighiacciato attorno a una casa che il commissario è andato a vedere per comprarla. Di chi era il cadavere a cui appartiene la mano? Inizia così un’indagine fredda che più fredda non si può.
Dentro aleggiava un odore stantio di chiuso, il tipico afrore delle case abitate dai vecchi.
Ovviamente l’acquisto della proprietà, una casa di campagna non lontana da dove abitava suo padre, salta definitivamente. Per Wallander è una delusione, ma intanto deve occuparsi dell’inchiesta, alla quale partecipa la figlia che da qualche tempo lavora nella stessa centrale di polizia. La vicenda si riferisce a fatti di sessant’anni prima, ai tempi della seconda guerra mondiale. Sono pochi i testimoni di allora ancora in vita.
C’era una bellezza che solo la vecchiaia poteva conferire a un essere umano. Nelle rughe di un viso era scolpita una vita intera.
Appena centotrenta pagine con caratteri grandi, per questa indagine. Prezzo di copertina 12 euro. Cara Marsilio, te ne approfitti perché siamo malati di Wallander!

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