Ho visto “Michelangelo Pistoletto ” di Daniele Segre

Segre ha intitolato semplicemente così, con il nome dell’artista, questo suo nuovo lavoro che continua – è vero – l’ormai lunga galleria di ritratti di personaggi della cultura italiana contemporanea (“alcuni poco visti o poco valorizzati negli stessi ambienti dove quei personaggi hanno contato, ma tant’è ormai li ho fatti, fanno parte della mia storia cinematografica e qualcuno un giorno li considererà” dice il regista). Ma fin dal rigore formale dei titoli e della sottolineatura musicale di Maria Teresa Soldani, sotto sotto, Daniele si rende conto di aver messo un punto fermo nella corposa letteratura, scritta o filmata, su Michelangelo Pistoletto. Che parla a tutto tondo, con lo sguardo fermo e puntato nell’obiettivo,  in un’ora di proiezione che passa come fossero dieci minuti. In realtà il materiale girato in quattro giorni di riprese era assai di più e forse, giustamente, non sapremo mai cos’altro l’artista ha raccontato davanti alla macchina da presa: “Faceva le domande ma lui non compare mai” dice divertito Pistoletto. “Segre ha tolto più che mettere, è stato un film a sottrazione”. Un po’ come accade nelle opere d’arte.
Già dalle prime inquadrature è riconoscibilissima la cifra stilistica di Segre. Non tanto nel taglio delle inquadrature, quanto nella complicità simbiotica, nella sintonia che sa creare con il personaggio, sia che si tratti di un artista di fama internazionale, sia della vedova di un caduto sul lavoro.
Così Pistoletto si racconta, a partire dai primi ricordi d’infanzia, letteralmente ambientati nella culla, con godibilissimi aneddoti di carattere familiare, fino all’apoteosi mondiale di cui la mostra personale al Louvre di Parigi nel 2013 che tratteggia con poche semplicissime parole, ma tali da far rammaricare per non averla vista, e la nascita del segno del Terzo Paradiso, non sono che le ennesime tappe di una storia artistica iniziata sessant’anni fa. Su questo punto Segre glissa, lo lascia come un capitolo aperto, non spiegato, rimandandolo al segno che Pistoletto più volte traccia con mano ferma su fogli bianchi, sottolineato dal rumore del pennarello sulla carta. Poi il gioco degli specchi, con il Pistoletto specchiato e specchiante nelle proprie opere (un continuo rimando tra presente, passato e futuro, direbbe il Maestro) che si alterna alla narrazione verbale, maneggiato con grande cura, direi con padronanza da Daniele, accresce l’attenzione dello spettatore.
Ciò che non trapela nel film è la giocosa amicizia nata tra i due fin dalla loro conoscenza. “Se mi fai un autografo ti faccio un film” non è una leggenda metropolitana. Le cose sono andate veramente così lo scorso anno alla conferenza stampa del Prix Italia. Oggi Pistoletto e Segre sembrano due compagnoni coetanei (non me ne voglia Daniele che ha vent’anni di meno, il fatto è che Michelangelo è di gran lunga più giovane dei suoi ottant’anni…) che gigioneggiano ad uso e consumo del pubblico presente alle proiezioni e agli incontri stampa che accompagnano il film o davanti alle indiscrete telecamere delle tv.
Di cosa sarà del film, quale circuitazione avrà, al di là delle copie distribuite nei licei e nelle università a cura del comune di Torino, non si sa molto. “Intanto è lì, il lavoro è fatto” dice ancora Segre che quando sente l’urgenza insopprimibile di fare un film, quando scocca la scintilla con un personaggio, parte e lo realizza. Senza aspettare di raccogliere coperture finanziarie o ipotetiche distribuzioni, diventa committente di se stesso. “E’ un po’ come fare una seduta di autoanalisi, sia per me e, credo, sia per il protagonista che si racconta davanti alla mia macchina da presa” confida ancora Daniele.
Mi resta da dire che la proiezione in alta definizione al cinema Massimo era stupenda: al Maestro, nei primi piani, si sarebbero potuti contare i peli della barba…

(visto il 1 novembre 2013 su grande schermo in anteprima mondiale e in tante altre occasioni durante la preparazione, per l’amicizia di cui mi gratifica il regista)

 

 

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