Ho visto “Il paradiso degli orchi”

Certi romanzi bisognerebbe lasciarli sugli scaffali e non tentarne improbabili riduzioni cinematografiche. Il regista Nicolas Bary semplifica molto il romanzo (1985) di Daniel Pennac, il primo del fortunato ciclo di Malaussène, addirittura ne sottrae dei personaggi. E la sceneggiatura, ridondante colori, musica, effetti speciali, a quasi trent’anni dalla pubblicazione del libro lo aggiorna, lo attualizza ma alla fine non diverte come la pagina scritta originale.
Au bonheur parisien (la location è La Samaritaine), è il grande magazzino in cui Benjamin Malausséne (Raphaël Personnaz) svolge il ruolo del capro espiatorio, a fronte delle proteste dei clienti e dei tanti incidenti che vi accadono, è colui che si assume la responsabilità: “Troppo pagato per quello che faccio, troppo poco per quanto mi annoio”. Vive a Belleville e ha una famiglia numerosa e casinista (un fratello orina nel lavandino, una sorella è incinta non si sa di chi, la mamma è sempre in fuga per amore, il cane Julius che mangia i fagiolini…): I calcoli renali sono tutto quello che caghi, moltiplicato per due. Per questo si chiamano calcoli.
Al magazzino scoppiano incendi, esplodono bombe, scompaiono bambini. La polizia, con l’ispettore Carrega, indaga e si concentra anche su Malausséne come possibile colpevole. A seguire le indagini c’è anche una giornalista curiosa di cui Benjamin subito si innamora, Julie-zia Julia (Berenice Bejo): Sai che si dice delle rosse? Tetto ruggine, cantina umida. La ragazza si finge ladra, ma in realtà indaga sulle telecamere interne, sulle registrazioni di quanto avviene nel magazzino, in particolare le perversioni degli agenti di sicurezza che spiano nei camerini. Poi le indagini si indirizzano su Stojil (Emir Kusturica), il guardiano notturno, fedele amico di Benjamin: “Sai cosa diceva Clemenceau del suo capo di gabinetto? Quando scorreggio è lui che puzza”.
L’errore che ho commesso guardando il film è stato cercare di ricordare il romanzo, che avevo letto oltre vent’anni fa. Che invece è un’altra cosa: il film è discontinuo e non ha la stessa leggerezza. Scelta degli interni, costumi e fotografia sono le cose migliori, mentre la multietnica Belleville è praticamente scomparsa. Ora restiamo in attesa del prevedibile prosieguo, La fata carabina.
“Sono un bastardo necessario?”. “Sei una vittima consenziente”.

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