Ho visto “Nebraska”

Né demenza né Alzheimer, è solo dannata cocciutaggine senile quella che spinge Woody Grant, ottantenne felicemente alcolizzato a dispetto della famiglia, a credere di aver vinto un milione di dollari attraverso una promozione pubblicitaria di una società di marketing. Il foglio del premio puzza di tarocco lontano un miglio e nessuno lo prende sul serio. Tranne lui. Ha già fatto diversi tentativi solitari per andare a ritirare il milione ed è sempre stato riportato indietro. Solo il figlio più giovane, David, capisce la necessità del padre di credere ancora in qualcosa e allora lo asseconda. Si tratta però di fare un lungo viaggio, dal Montana al Nebraska, per raggiungere la cittadina di Lincoln dove ha sede la società. I due partono con la vecchia Subaru di David e attraversano un’America rurale e conservatrice, con soste fatte di birra e minzioni campestri. Il viaggio ricostruisce e rinsalda il rapporto tra padre e figlio. A Hawthorne, cittadina d’origine della famiglia Grant, si fermano per il weekend a casa di uno zio e la domenica arriva una moltitudine di fratelli, sorelle e nipoti per festeggiare il “milionario”. Come sempre, attorno a un vincitore si affollano i mosconi che reclamano qualche briciola, siano essi parenti invidiosi o vecchi conoscenti. Uno di questi è Ed Pegram (un fantastico Stacey Keach), antico socio di Woody in una officina. Anche lui reclama dei soldi. Nel frattempo sono giunti l’altro figlio Ross e la moglie Kate. I luoghi di famiglia suscitano ancora ricordi. Quando il padre ha un malore tutti e quattro si riuniscono all’ospedale. Ormai è evidente che arrivare a Lincoln non ha senso, la truffa contenuta nella lettera è nota anche a Woody, ma David asseconda ancora una volta la caparbietà del padre e riprende il viaggio.
Film bello, triste, intenso, splendido road-movie che lascia spazio a tante riflessioni. Sulla vecchiaia, sulla famiglia, sul viaggio inteso come metafora di tante cose. La fotografia in bianco e nero e il tema musicale essenziale gli danno un fascino senza tempo. Bruce Dern è un signore settantottenne ancora in forma che impersona in maniera strepitosa il rottame umano che è Woody. Strameritata la sua nomination all’Oscar di quest’anno come pure il premio avuto a Cannes la scorsa primavera. Difficile però osservarlo sullo schermo senza ricordare il giovane Dern di film come Il re dei giardini di Marvin (1972), Il Grande Gatsby (1974), Tornando a casa (1978). Irriconoscibile oggi, ma così va il mondo.
Del regista Alexander Payne, già premio Oscar per due sceneggiature nel 2005 e nel 2012, giova ricordare film interessanti come A proposito di Schmidt (2002), Sideways (2004) e Paradiso amaro (2011). Anche lui ha la sua brava nomination.
Ho scritto queste righe ascoltando Nebraska (1982) di Bruce Springsteen. C’entra nulla con il film, ma sono andato a riprenderlo perché il titolo e le immagini del road movie di Payne mi hanno ricordato la foto in bianco e nero sulla copertina del mitico album del Boss.

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