Ho visto “La pelle che abito” di Pedro Almodòvar

Vedo molto imbarazzo nel commentare l’ultimo film di Almodòvar. Pochi osano andare contro un mostro sacro del cinema internazionale. Per fortuna ho trovato chi la pensa come me, il quotidiano El Pais che ha scritto E’ un film patetico e involontariamente comico. Allora iniziamo da questa comicità che esplode quando compare il personaggio Zeca (Roberto Alamo) completamente travestito da tigrotto, con la scusa del carnevale…… E’ il fratellastro di Roberto (Antonio Banderas), Berto per la mamma Marilia (Marisa Paredes), che tenterà di violentare Vera (Elena Anaya). In questo frangente o ridi o pensi tra te “no, non è possibile una tale scemenza!”. E che dire dei falli di diverso calibro allineati su una mensola che serviranno ad ‘allenare’ la neo-vagina di Vicente/Vera? Un’altra risata mi è scappata nel finale, al momento dell’agnizione, quando Vera/Vicente, ormai liberatasi a revolverate del suo persecutore, torna a casa dalla mamma. Aspetti, aspetti e poi il liberatorio “sono Vicente” e te lo immagini in versione originale “yo soy Vicente”. Titoli di coda e scoppi a ridere. Per il resto ti agiti sulla poltrona, irritato per un film che supera ogni limite del ridicolo. Non è un melodramma, non è un thriller, non è fantascienza e se lo scopo era fare riflettere su alcuni temi seri (ricerca scientifica, trapianti di pelle, cambio d’identità sessuale, limiti etici della chirurgia plastica….) proprio non ci riesce. E Banderas dà al folle chirurgo sempre la stessa espressione, quasi che il trapianto di pelle lo abbia fatto a se stesso.
Però salvo alcune cose: la bella location di El Cigarral, in particolare il design degli interni; la fotografia molto accurata; alcune inquadrature particolarmente ‘plastiche’; gli interventi musicali che Almodòvar sa scegliere sempre molto bene; se si vuole, la bellezza di Elena Anaya. Ciononostante rimane un film brutto.

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