Ho letto “Intanto anche dicembre è passato” di Fulvio Abbate

Se nasci in un luogo dove nelle pupille del vicino affacciato in canottiera o in vestaglia dal balcone di fronte, perennemente arde un filamento incandescente d’odio la cui ragione ti resterà perennemente oscura…
Chi conosce Fulvio Abbate solo per le sue intemerate politiche, per i suoi revival storico-culturali, per le apodittiche interviste con personaggi famosi e magari inorridisce per le sue spesso inevitabili e calzanti volgarità che costituiscono il pane quotidiano di Teledurruti.it,  non può immaginare quale fine scrittore si celi invece dietro la maschera dell’inventore della prima tv monolocale nazionale. Peraltro è anche uomo di cultura, critico d’arte, giornalista dalla lunghissima militanza in varie testate nonché opinionista in diverse emittenti televisive. Dal canto mio, da quando ho scoperto Teledurruti qualche anno fa, ne sono diventato un attento e divertito spettatore (si può dire spettatore?) pur non condividendone a volte le posizioni. Con Intanto anche dicembre è passato, pubblicato però a novembre…, Fulvio Abbate si autocandida al Premio Strega, in opposizione alla P2 culturale di sinistra imperante. E’ essenzialmente un libro di ricordi della sua fanciullezza, a partire dall’autunno del 1961 (Abbate è del ’56), in cui l’autore non fa sconti a nessuno: alle figure del padre, della madre, dei nonni e neppure a se stesso.
Non facciamola troppo lunga, questo non è un racconto di suspense, semmai si tratta di un verbale oggettivo di ricordi, così come sono rimasti impressi negli occhi di una persona che all’epoca dei fatti non aveva ancora dieci anni, un miracolo che quindi riesca a rimettere a fuoco la memoria, sia pure riveduta e corretta dalla consapevolezza ormai adulta.
L’originalità dell’opera sta nell’inserimento tra i ricordi di famiglia di fatti immaginari e di personaggi reali estratti dalla Storia. Così fu per Hitler, vivo e vegeto in Sicilia negli anni Sessanta, ospite in casa Abbate con l’incarico di tinteggiare le stanze. Lavoro che andrà per le lunghe e rimarrà incompleto.
Scoprire un Hitler ingenuo, candido, incapace di guardarsi le spalle, così stupido, sarà anche per noi un motivo di meraviglia immensa.
Ma accanto alla genialata dello zio Führer imbianchino c’è anche un altro illustre personaggio, al quale il piccolo Fulvio viene affidato per le ripetizioni di matematica.
Ho dimenticato di dire che, a parte zio Hitler e i miei familiari, in mezzo a noi c’era un’altra presenza, in questo caso invisibile, (…)addirittura il leggendario fisico Ettore Majorana…
Così tra un padre che leggeva solo Quattroruote e la mamma invaghita di Camus e imbottita di cultura d’oltralpe, le madeleine di Fulvio non potevano che essere le auto e soprattutto la Francia in tutte le sue declinazioni, dalla canzone al cinema, alla letteratura. Compreso un indimenticabile lungo viaggio in treno a Parigi di tutta la famiglia.
Nonostante fossero fetide di plastica ministeriale democristiana marrone, le cuccette ci hanno permesso di riposare…
La permanenza dell’italica famiglia a Parigi costituisce la parte centrale del libro ed è ovviamente ricca di citazioni di luoghi e personaggi. Intanto zio Hitler, rimasto a Palermo, ha preso e assorbito usi e costumi della sicilianità (E’ proprio vero che Palermo e la Sicilia rovinano tutto e tutti) come si evince anche dalla citazione iniziale. Non ha perso tempo nell’assecondare le voglie di una cassiera di nome Lucilla ma, mal gliene incolse, questa era imparentata con qualcuno della mafia. E al ritorno degli Abbate da Parigi dello zio non c’è più traccia.
Suca, si sa, è l’alfa e l’omega d’ogni abbecedario, libretto d’istruzione, di manutenzione, di navigazione d’ogni base di ricovero, bolla d’accompagnamento, statino universitario, ricetta, foglio di constatazione amichevole cittadini, palermitani, arde da sempre nella tavoletta cuneiforme spalmata di merda e cera dell’indigeno isolano. Voce del verbo succhiare, qui reificato in “sucare”. Se è possibile, anzi, “sucare forte”.
Geniale ma discontinuo, divertente e dissacratorio, ma infine tenero e giocoso come può essere per ognuno di noi il ricordo dei nostri cari nel periodo della nostra infanzia. Senza avere la tentazione di essere uno stucchevole bildungroman.
Peccato per i tantissimi e fastidiosi refusi, soprattutto nella nomenclatura francese. Baldini&Castoldi suvvia, un po’ di attenzione!
Noi scrittori, infatti, siamo duchi, marchesi, conti: abbiamo a disposizione le immense baronie dell’immaginazione…

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