Ho visto “Monuments Men”

Cinematograficamente imbevuto di una infinità di film ambientati nella Seconda guerra mondiale che ho amato fin dall’infanzia, poi nell’adolescenza e infine in età matura, ho trovato noiosa e stucchevole questa trasposizione cinematografica di una vicenda realmente accaduta, di per sé originale ma che nulla aggiunge a quanto già riprodotto al cinema. Presupposto è la distruzione sotto i bombardamenti di ambo le parti di molti monumenti che raccontavano la storia d’Europa. Ad essa si aggiungono le razzie naziste di opere d’arte dalle principali collezioni europee e dalle chiese di tante città per costituire a Linz il Museo del Führer. L’ambizioso progetto era però destinato al fallimento grazie alla riscossa alleata nella seconda metà del 1944 che costrinse le truppe naziste a ripiegare. I gerarchi tuttavia, Goering in testa,  avevano già iniziato la spoliazione dai musei di decine di migliaia di opere d’arte che presero la via della Germania dove furono stoccate e nascoste dentro miniere abbandonate.
Il film narra la storia di un plotone eterogeneo, appositamente costituito, formato da esperti d’arte, studiosi e restauratori che ebbero l’incarico di infiltrarsi tra le linee nemiche per mettere in salvo le opere d’arte e nei limiti del possibile recuperare quelle già trafugate.
Immaginate ad esempio Achille Bonito Oliva, Francesco Bonami, Philippe Daverio, agli ordini di Vittorio Sgarbi, mettere in piedi un’operazione del genere…
Era una missione pericolosa, che a volte confliggeva con le disposizioni date dai comandanti sul campo, poco propensi a sacrificare qualche uomo per salvare un quadro o una scultura.
Tuttavia i monuments men raggiungono quasi totalmente il loro scopo, prima che Hitler faccia scattare il “Decreto Nerone”, predisposto nel marzo del ’45 per distruggere tutto quanto le truppe tedesche in ritirata si lasciavano alle spalle. Comprese le opere d’arte.
Al buon risultato finale – che è poi la restituzione e la ricollocazione al loro posto di tutte le opere trafugate – giova il lavoro di una curatrice museale (Cate Blanchett), finta collaborazionista, che aveva minuziosamente catalogato ogni pezzo in partenza per la Germania registrandone la destinazione.
Monumento simbolo di tutta la storia è la Madonna con bambino di Michelangelo, una scultura marmorea trafugata dalla Chiesa di Nostra Signora a Bruges, uno degli ultimi pezzi recuperati dai bravi soldati esperti d’arte.
Che cosa non funziona nel film? George Clooney (il suo quinto film da regista è un  passo indietro rispetto al bel Le idi di marzo) tratta il tema senza riuscire a metterci il dovuto pathos e finisce così che anche i momenti che dovrebbero essere drammatici risultano alla stregua di una commedia. D’altra parte è il cast stesso, pur stellare, a indicare la strada del genere: Clooney stesso, Matt Damon, John Goodman, Jean Dujardin, Bill Murray sono più attori da film brillante che da dramma sulla guerra. A fronte di queste mie considerazioni, commentava un caro amico, per motivi di età anche lui memore dei film di guerra anni ’60-70: “per forza! non esistono più gli sceneggiatori che la guerra l’hanno vista o vissuta”.
E così Monuments Men è risultato un pastrocchio che non è dramma e neppure tragicommedia, nonostante i 70 milioni di dollari che è costato.

 

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