Ho visto “12 anni schiavo”

Un certo presentimento mi ha condotto ieri sera al cinema a vedere 12 anni schiavo che nella notte sarebbe stato proclamato il miglior film del 2013 secondo l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences. I premi Oscar mi incuriosiscono ma non mi appassionano, quindi non entro nel giochino di condividere o meno le scelte dei giurati. Resta il film: importante e difficile da digerire nelle sequenze che ci riportano all’epoca della violenza e prevaricazione dei bianchi americani nei confronti dei neri, a 170 anni dalla presidenza Obama.  E’ il 1841 quando Solomon Northup, violinista nero che vive libero con la sua famiglia nello stato di New York, viene rapito da una gang che vuole riportare in schiavitù negli stati del sud i neri ormai emancipati. La sorte è malevola con Solomon: passa da un padrone a un altro per una dozzina di anni, lavora nei campi di cotone fino a spezzarsi la schiena, sperimenta privazioni, frustate e maltrattamenti d’ogni genere. Sono pochi i suoi tentativi di ribellione o di fuga da padroni alcolizzati, debosciati e vigliacchi, meglio sottomettersi e attendere pazientemente il momento buono per provare a entrare in contatto con la famiglia e il mondo da cui è stato strappato. Un primo tentativo di far giungere un messaggio a New York va a vuoto per il tradimento della persona di cui sembrava potersi fidare. Poi compare una sorta di angelo abolizionista, una figura totalmente insolita da quelle parti, un carpentiere canadese di nome Bass. Sarà lui il latore della missiva che condurrà Solomon verso una nuova e definitiva libertà. Un giorno l’uomo vede avvicinarsi delle persone al campo di cotone dove sta lavorando: è la giustizia che finalmente trionfa.
In mezzo stanno molte cose e il regista (nero) Steve McQueen (Hunger e Shame) non ci risparmia nulla. Ad esempio le frustate a Patsey (Lupita Nyong’o, premio Oscar per la miglior attrice non protagonista), la giovane continuamente concupita dal padrone Ebbs (un tignoso Michael Fassbender, fra l’altro attore prediletto dal regista). La schiena della ragazza è così martoriata dallo scudiscio che fa distogliere lo sguardo dallo schermo. Brad Pitt, il bianco buono nonché coproduttore del film, e Paul Giamatti si ritagliano due piccole ma significative parti. Resta da dire dell’attore principale, Chiwetel Ejiofor, trentasettenne britannico di origine nigeriana con una carriera già lunga all’attivo. Non giunge all’Oscar nonostante una recitazione importante e una sceneggiatura che lo vuole continuamente di scena. Forse non gli giova la remissività del suo personaggio, quasi sempre privo di slanci di ribellione.
E così Hollywood fa un’altra volta i conti con una pagina ingloriosa della storia americana, dopo i non lontani Django Unchained di Quentin Tarantino e Lincoln di Steven Spielberg, entrambi del 2012 e tutti e due gratificati da 2 Oscar.

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