Ho letto “Il secolo” di Javier Marías

La vita è piena di ingiustizie e malintesi che ci precedono e ci sopravvivono, ma così come nessuno può sentirsene responsabile o colpevole, allo stesso modo non è lecito ostentare indifferenza e illudersi che non ci riguardino né ci vincolino solo perché risalgono a tempi anteriori al nostro.
Javier Marías scrive dannatamente bene e l’editore Einaudi giustamente prosegue nel farci conoscere anche le sue opere più lontane nel tempo. Così dopo I territori del lupo, sua opera prima datata 1971 e pubblicata da noi nel 2013, sempre lo scorso anno è uscito Il Secolo (El siglo, 1983).
La particolarità del romanzo consiste nell’alternanza dei capitoli, raccontando in prima persona le vicende del protagonista Casaldáliga nei capitoli dispari e in terza persona in quelli pari. In tutto 9 capitoli, più una nota per l’edizione spagnola del 1995 e il testo di una conferenza tenuta da Marías nel 1984.  Dunque, nei capitoli dispari il vecchio Casaldáliga, giudice in pensione da tempo immobilizzato e agonizzante ma comunque lucido tanto da prendersi gioco degli astanti, osserva tutto ciò che accade attorno a lui, in una bella villa sulle sponde di un lago, e ricorda gli avvenimenti della sua vita. Casaldáliga è colpito dalla mutevolezza del lago che assume fin dalle prime pagine un ruolo da protagonista.
Senza dubbio sarà questo lago a posare un ultimo sguardo verso di me, ignoro soltanto sotto quale aspetto mi si presenteranno le sue acque quel giorno. Io le preferisco come specchio appannato….
Come esempio massimo di cambiamento – e Casaldáliga auspica che uguale sorte possa accadere anche agli uomini – cita …il lago Cestella, non lontano da Venezia, scomparso tutt’a un tratto una domenica di luglio senza lasciare tracce se non una vasta cavità… Un fatto realmente accaduto nel Bellunese (Comelico) di cui però si è persa ogni traccia se non nei giornali dell’epoca (era il 1980) ma che evidentemente aveva molto colpito Marías. Tanto è vero che ci ritorna su nel nono capitolo, quando per punire gli avvoltoi che ormai popolano la casa in attesa della sua dipartita per spolpare gli ultimi averi, pensa di fingersi morto.
Arriveranno da un momento all’altro per festeggiare il mio onomastico. Devo trovarmi al mio posto, non è bello che io li deluda. Ma per punirli di avermi lasciato solo farò finta di essere morto per qualche giorno. Nel frattempo penserò a viaggiare, e così mi distrarrò nell’attesa.
Dicevo però del lago Cestella. Nell’ultimo capitolo accade che nella notte il lago di fronte alla casa del giudice si era ghiacciato, un fatto straordinario per quelle terre così meridionali. Casaldáliga vorrebbe alzarsi e saggiare lo spessore del ghiaccio. Vorrebbe che fosse permanente, come l’oblio, per credere più facilmente nell’immobilità.
Il lago Cestella fu più fortunato, infatti chi mai ricorderà in un secolo futuro che è esistito un lago dove ormai sarà cresciuta l’erba oppure non ci sarà che sabbia e asfalto? Invece il ghiaccio si spezza, si sminuzza e sparisce. E’ solo trasformazione, un momento.
Per comprendere tutte queste elucubrazioni del vecchio giudice occorre l’aiuto dei capitoli pari, quelli che ne ripercorrono la vita dall’infanzia fino al 1939 (si dà il caso che lui sia nato nel 1900), quando decide di fare il salto della barricata (era il tempo del franchismo) e diventare un delatore.
Casaldàliga aveva sviluppato fin dalla fanciullezza la capacità di vedersi dal di fuori come un estraneo, di vedersi oggettivato e da lontano, quasi fosse un altro distinto da sè.
Per 39 anni era stato abulico, vile, passivo, indeciso, era vissuto sempre all’ombra del padre. La notte di San Giovanni dei suoi 28 anni Casaldáliga torna in villa e trova il padre morto in poltrona, uno spartito in grembo, un disco su un grammofono, decine di copertine dello stesso disco sparse sul pavimento.
Suo padre era morto, sì, seduto sulla grande poltrona, ma non leggendo Dumas o Victor Hugo, come fino a quel momento sarebbe stato coerente con il suo destino e la sua storia bensì, imprevedibilmente, ascoltando musica. Ascoltando musica, e musica del Novecento! I ‘Gurrelieder’ di Schönberg, una composizione modernissima e recente, affatto inimmaginabile, che nulla aveva a che vedere con il suo carattere, i gusti o il percorso di vita del genitore.
Casaldáliga scopre così che a quella musica era legato un ricordo di suo padre, abbandonato dalla moglie tanti anni prima. E’ la vecchia governante che lo mette a parte di un segreto che non avrebbe mai dovuto scoprire. Suo padre per tutta la vita era rimasto ossessionato da quella musica.
Poi conosce Constanza Bacio, una giovane e ricca donna a cui si ritrova sposato. Constanza ha una malattia che la condanna a breve, o così fa credere al marito. Per sfuggire alla guerra civile si trasferiscono a Lisbona, dove però accarezza intensamente l’idea di andare al fronte. Trascorre così tre anni vuoti, senza senso, e al rientro in patria prende la decisione.
La mattina d’agosto in cui decise di intervenire definitivamente sul proprio destino e di offrirsi come delatore…
Dopo aver vissuto nell’ombra molte vite, nessuna soddisfacente, decide di fornire i propri servigi al colonnello Berua, senza esservi indotto o costretto con la forza. Nasce un rapporto ambiguo che si trascinerà per tutta l’esistenza. Ritroviamo il colonnello Berua anche nei capitoli dispari tra coloro che si recano al capezzale di Casaldáliga. Ricorre anche la presenza di Leone di Napoli, il figlioccio di Casaldáliga, e della sua lasciva moglie, sui quali non mi sono soffermato ma che hanno un ruolo importante.
La morte non dovrebbe mai esitare. La morte è azione, non pensiero. Non fluisce, esplode; e quasi mai s’annuncia: irrompe, e non può voltarsi indietro.
Il secolo è un romanzo di una intensità incredibile, in cui nessuna parola è superflua, da leggere e soffermarcisi. E poi da leggere ancora.

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