Ho visto “Nymphomaniac” volume 1

Lo pensavo molto peggio, invece risulta quasi sopportabile, a tratti istruttivo. Merito della bergmaniana figura di Seligman, l’anziano che raccoglie in un cortile, svenuta, pesta e sanguinante, la ninfomane Joe e come un buon samaritano la porta in casa, la pulisce, riveste e rifocilla. Soprattutto ne ascolta la storia, non ergendosi a giudice, ma cercando di comprendere e giustificare attraverso paralleli e metafore tratti dalla botanica (il frassino), la pesca (con la mosca), la matematica (Fibonacci), la musica (Bach)… i lussuriosi quanto malati comportamenti. E’ dunque il confronto verbale con l’anziano a rendere quasi garbata la vicenda (pare che la seconda puntata, ormai in uscita nei cinema, di questa prima parte della lunghissima saga della vita di Joe, colta dall’infanzia alla soglia dei cinquant’anni sarà molto più violenta e meno accettabile). Comunque, di fronte a questa sfilata di ‘sfilatini’ fa quasi tenerezza pensare agli ormai lontani anni in cui al cinema tutto era rappresentabile fuorché il membro. E consideriamo che il film visto ieri al cinema Greenwich di Torino (sala piena di giovani e giovanissimi, unico luogo della provincia in cui viene ancora proiettato) è il frutto di rimaneggiamenti, tagli, edulcoramenti che lo stesso Lars von Trier non ha accettato.
Il paziente Seligman ascolta tutta la storia che Joe gli racconta, a tratti con rabbia e molto più con compiacimento, la propria vita a partire dalle prime voglie provate durante l’infanzia insieme all’amichetta B e dalla perdita della verginità a 15 anni – fortemente voluta, come dicono i politici – richiesta al giovane Jerôme dalle grandi mani sporche di grasso (sta cercando di far partire un motorino) e poi la continua e inarrestabile discesa negli abissi del sesso. Senza amore, che è bandito. Insaziabile. Si accoppia anche con dieci uomini al giorno. Unica ancora di salvezza, ma non colta, è la riapparizione di Jerôme (Shia LaBeouf) sotto forma di un giovane manager. Forse per lui Joe prova qualche forma di amore. Ma è solo un momento. La narrazione si arresta dopo la morte del padre (Joe non manca di farsi prendere nei sotterranei dell’ospedale), quando la donna intrattiene ormai stabilmente una relazione con tre uomini molto diversi tra loro. Una corale di Bach, si affretta a spiegare e giustificare il buon Seligman.
Da rilevare nel film il cameo disegnato da Uma Thurman, la signora H che, abbandonata dal marito invaghito della giovane ninfomane, si presenta a casa sua con i tre bambini e dà vita a un – dapprima composto e poi isterico – monologo davanti agli amanti esterrefatti e ai figli piangenti. Ma intanto al campanello ha suonato un altro uomo di cui Joe – che tiene una agenda fittissima di incontri – avrebbe dovuto approfittare.
Joe è la bravissima Charlotte Gainsbourg (vontrieriana d’adozione), l’acerba Stacy Martin nella versione giovane.
Non so se vedrò il seguito. Forse mi basta così. Ero scettico, pronto a trovarmi di fronte a un coprolavoro (mi si perdoni il facile gioco di parole). Invece mi è parso un film amaro e dolente che va comunque inquadrato nella provocatoria filmografia del regista danese. Il penultimo era stato nel 2011 il sinfonico e planetario Melancholia, in cui Von Trier fa riferimento al mito di Ophelia e al famoso omonimo quadro di John Everett Millais, proprio in questi giorni esposto a Torino nella mostra sui Preraffaelliti. Toh, guarda a volte le coincidenze, Turin l’è sempre Turin!

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