Ho visto “La mafia uccide solo d’estate”

Complici le arene estive, è ancora programmata dopo otto mesi dall’uscita e a dieci dalla sua presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia l’opera prima di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, quarantenne palermitano, autore e conduttore di programmi televisivi. La mafia uccide solo d’estate è un film coraggioso ed è giusto che sia stato premiato da una buona presenza di pubblico, oltre che dalla critica, onusto com’è di premi e nomination.
Pif tenta di dare una lettura particolare a vent’anni di vita a Palermo, caratterizzati dal periodo stragista, attraverso gli occhi del ragazzino Arturo, testimone attento ma passivo, come la maggior parte dei suoi concittadini, dei crimini di mafia. Da bambino Arturo viene in contatto e conosce personalmente Rocco Chinnici, Boris Giuliano e anche il Generale Dalla Chiesa e poi li vede scomparire uno alla volta negli attentati. Paradossalmente però il suo eroe è Giulio Andreotti: per lui è un vero mito, ne colleziona foto e ritagli di giornale, tanto da imitarlo grottescamente nelle feste in costume della scuola. Accanto a lui cresce Flora, la bambina di cui è neanche tanto segretamente innamorato. Lei è una compagna di studi, di giochi, ma soprattutto di infantili confidenze. Quando Flora con la famiglia si trasferisce in Svizzera, a lui non resta che continuare a osservare silenzioso i fatti di Palermo. “Ma la mafia ucciderà anche noi?”. “Tranquillo. Ora siamo d’inverno. La mafia uccide solo d’estate”. E’ il dialogo tra Arturo e il padre che, oltre dare un titolo al film, racchiude il senso e l’atmosfera di una città che saprà risvegliarsi soltanto dopo le stragi in cui perirono Falcone e Borsellino.
Arturo intanto cresce. Fin da bambino ha coltivato la passione per il giornalismo, ma trova lavoro soltanto come pianista e assistente di un pittoresco conduttore di talk-show in una scalcagnata tv locale. Lì ritrova Flora, divenuta assistente di Salvo Lima. La presenza della ragazza durante una trasmissione televisiva lo imbarazza e lo distrae a tal punto da fargli perdere il posto. Grazie a Flora viene però assunto per scrivere i discorsi della campagna elettorale democristiana. Il finale del film è un po’ tirato via. Il 1992 è l’anno cruciale: a marzo Salvo Lima è assassinato a colpi di pistola, a maggio e luglio muoiono Falcone e Borsellino. Arturo e Flora si fidanzano e al loro figlio inculcano sani principi, educandolo agli esempi lasciati dagli eroi che hanno combattuto la mafia, attraverso le targhe commemorative avvitate sui muri di cui la città è disseminata.
Pierfrancesco Diliberto muove il film su due binari, quello drammatico dei fatti e quello di finzione della vita quotidiana di una famiglia cosiddetta ordinaria. I due registri utilizzati tuttavia confliggono e ne scaturisce un lavoro discontinuo, ripeto, apprezzabile soltanto per il coraggio di mettere insieme il dramma con il divertimento o comunque la leggerezza. Accanto a Pif è una convincente Cristiana Capotondi, ma a far la parte del leone è Arturo da bambino, il piccolo Alex Bisconti.

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