Ho visto “Synecdoche, New York”

Charlie Kaufman come Bob Fosse. Caden Cotard come Joe Gideon. Qui il teatro, là il musical. In entrambi i casi il logorio fisico e la malattia e la vita da mettere in scena. Ma i parallelismi tra Synecdoche, New York e All That Jazz si fermano qui. Il film Palma d’Oro a Cannes nel 1980 (vinse poi quattro premi Oscar) mi è venuto in mente guardando il bel lavoro di Kaufman che in Italia è uscito con un ritardo di sei anni e se Philip Seymour Hoffman non fosse morto prematuramente lo scorso febbraio forse non lo avremmo neppure visto. I primi minuti sono intelligibili: Caden è un regista teatrale di successo ma pieno di dubbi, frustrazioni, manie, fissazioni ipocondriache. La moglie Adele Lack (il cognome è già un programma) è un’artista di grande successo: dipinge piccole figure prese dalla realtà ma che bisogna guardare con una lente potentissima. Mentre Caden riceve un prestigioso premio in denaro che gli consentirà di allestire un grandioso spettacolo, la moglie lo lascia e va a stare a Berlino con la figlioletta di quattro anni. Caden entra in una spirale di malattie misteriose ma reali e diventa ossessionato da una morte imminente. Lo spettacolo che allestirà dovrà quindi rappresentare la sua vita. A New York gli viene assegnato un enorme spazio coperto che riproduce i luoghi dove ha vissuto e che via via si ingrandisce con il trascorrere della sua vita e relativi accadimenti. Raccontata così la trama sarebbe semplice. Il difficile è iniziare a distinguere cosa succede nel reale e cosa invece è riproduzione teatrale: il teatro è la vita e la vita è teatro? Ci soccorre una frase del regista: “Al mondo ci sono milioni e milioni di persone e nessuno è una comparsa. Ognuno è protagonista della propria storia”.
Passano gli anni e nella vita di Caden ci sono altre donne ma lui insegue la moglie telefonando a Berlino: risponde sempre la stessa segreteria telefonica con la voce di Adele registrata. E’ così per anni, mentre la figlia cresce, va sulle riviste perché è la bambina più tatuata del mondo, diventa adulta e si esibisce nei locali porno. C’è tanto dolore per Caden, la sua malattia si acuisce e tutto deve essere riprodotto sulla scena. Lo spettacolo ha ormai centinaia di attori, è provato e riprovato da vent’anni e sempre si arricchisce di personaggi e particolari. E non viene mai rappresentato. Molti muoiono nel frattempo, Caden Cotard è sempre più vecchio e si trascina in una scenografia che ormai è distrutta. Parte una canzone struggente interpretata da Deanna Storey, musica di Jon Brion, parole del regista Charlie Kaufman. Sintetizza meglio di qualsiasi parola la storia. Di ognuno di noi. Fa così:
I’m just a little person.
One person in a sea.
Of many little people.
Who are not aware of me.
I do my little job.
And live my little life.
Nel cast, un monumentale Philip Seymour Hoffman a parte (in molti hanno detto che questo è il suo vero testamento cinematografico), ci sono Catherine Keener che si ricorderà in Una fragile armonia e una per me sempre stupenda Emily Watson.

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