Ho visto “Blood Cells” di Joseph Bull e Luke Seomore (Venezia 71)

Un intero road movie con la bella faccia irlandese di Barry Ward che qui interpreta un uomo alla deriva per tutta la vita dopo che, da adolescente, ha assistito al suicidio del padre con un colpo di carabina. Una epidemia di afta epizootica aveva costretto il genitore di Adam a sopprimere tutto il bestiame e la famiglia era andata in rovina. Ritroviamo Adam poco più che trentenne, alcolizzato e senza lavoro, nel momento in cui riceve una telefonata dal fratello Aiden la cui moglie sta per avere un figlio e che gli chiede di tornare a casa, pena la rottura definitiva anche con l’anziana madre. Adam aderisce alla richiesta e si mette in viaggio verso casa, nel nord del paese, “quel posto in mezzo al nulla dove non succede mai nulla” come lo descrive una sua ex, uno dei personaggi con cui si incontra prima di raggiungere casa. E’ un viaggio doloroso che racconta i tanti fallimenti della sua vita, mentre le immagini propongono più volte come un incubo il trauma subito da ragazzo. Adam si sposta con mezzi di fortuna – a piedi, in autostop, in pullman – lungo un’Inghilterra che mette in mostra la sua grande crisi economica, forse comune a mezza Europa, attraverso campagne desolate e periferie squallide. Incontra persone, vecchi amici, alcuni parenti, amori finiti. Nella casualità di una ubriacatura notturna con due adolescenti sbandate dimostra però di avere ancora una testa che funziona. E’ uno dei momenti più belli del film, narrato con pochi dialoghi – di cui non c’è quasi bisogno – e tante belle inquadrature. Quando ha ricostruito la sua vita come un puzzle è pronto finalmente per arrivare dal fratello, nel frattempo diventato padre.
Diretto a quattro mani da Joseph Bull e Luke Seomore, Blood Cells è uno dei tre progetti sviluppati grazie a Biennale College e presentati a Venezia 71. Ancora un film sul malessere contemporaneo, dunque, che sembra essere la costante del cinema di questi tempi.

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