Ho letto “I buoni” di Luca Rastello

“Perché, come disse Calvino, la violenza contro il linguaggio è un preludio alla violenza contro gli umani”.
Ci sono due modi per leggere I buoni di Luca Rastello, un libro che ho sottovalutato all’uscita impedendomi di seguire l’aspro dibattito che ne è seguito e a cui sono arrivato grazie al consiglio-insistenza-obbligo da parte di un amico. Il primo è lasciarsi trasportare dal romanzo con la storia Aza-Azalea-Lea che cresce nei cunicoli di Bucarest insieme a centinaia di altri bambini e ragazzi sniffatori di colla.
Aza nelle fogne è arrivata bambina, in fuga da un villaggio del Nord, uscita di casa perché mamma ha un altro uomo e lei che ci sta a fare?   Un non luogo dove coraggiosi come il francese Miloud (non è citato ma è come lo fosse) tentano di riportare alla luce e alla vita tanti sfortunati. Ci sono anche degli italiani tra i volontari di varie associazioni, Andrea e Mauro ad esempio, un giornalista e un fotografo, che si appassionano alla vicenda di Aza.
Nelle associazioni senza fini di lucro quelli come Andrea si chiamano “operatori”, quelli come Aza “utenti”.
Ritroviamo Aza a Torino, dove viene presa sotto l’ala protettrice dell’associazione “In punta di piedi”. Studia, si diploma, va all’università, intanto lavora all’associazione coprendo diversi ruoli. Ha delle attitudini spiccate che le vengono subito riconosciute.
E’ una ragazza dei cunicoli, un capo, ha zanne e artigli.
Seguiamo la sua crescita. Azalea è diventata Lea, ora ha una casa, degli amici, ha compiti sempre più importanti, siede nei consigli di amministrazione. Lasciamo per un attimo la ragazza. Il secondo modo di leggere il romanzo – assai rischioso per i cazzottoni che possono arrivare diretti allo stomaco – è riconoscersi in questa città, nei fatti, nei personaggi.
E intorno fioriscono ancora nuovi parallelepipedi arancioazzurri per classi medie, disposte alla proprietà a prezzo contenuto, che per ora non esistono. (…) In città il denaro gira ormai soltanto attraverso le mani dei costruttori.

I personaggi soprattutto. Rastello dissimula: Nomi propri, toponimi e riferimenti storici sono frutto della fantasia dell’autore. Ma la lettura si fa ghiotta quando invece si cominciano a riconoscere i personaggi per quello che veramente sono.
Don Silvano entra per primo, toglie il giubbotto, visto da vicino è una giacchetta a vento leggera. Ha un maglione blu, girocollo. Occhi profondi, astuti, mani grandi, mani che attraversano l’aria in traiettorie sicure.
Facciamo la conoscenza con questo personaggio mitico, dal grande carisma, con amicizie  e conoscenze inarrivabili, continuamente evocato, citato e idolatrato da amici e collaboratori. Nel suo cerchio magico, quello allargato, da cui derivano soldi e notorietà, ci sono politici, imprenditori, magistrati, gente di spettacolo, ricche madame della buona società non solo torinese.
Silvano parla spesso senza usare i verbi. La sua conversazione è piena di punti e puntini, i suoi geroglifici: per gli iniziati le pause e l’altezza del tono sono il messaggio al di là delle parole.
Ma quello che colpisce ancor di più è il mondo dei collaboratori e l’organizzazione che è cresciuta intorno a lui. Livio Delfino, per esempio: “Esporta le mafie all’estero, così può fondare associazioni in mezza Europa e acchiappare ragazze esotiche”.
Il mondo dell’associazionismo, del volontariato, della cooperazione esce molto male da questo libro. E’ come se Luca Rastello accendesse la luce sull’arcipelago dei ‘buoni’ e facesse vedere il non visibile e ascoltare il non detto. I tempi sono cambiati, come spiega Andrea: “I tossici sono il residuo di un’altra epoca, di un altro mercato: quando erano le droghe il male assoluto. Ora se vuoi incarnare il bene assoluto, quello che non si discute a meno di tradimento, devi combattere le mafie”. Fosse ancora vivo Leonardo Sciascia indicherebbe oggi e qui i ‘professionisti dell’antimafia’.
Da un prete ti aspetteresti di sentir citare almeno una volta la ‘carità’ e invece le parole d’ordine sono altre: sporcarsi le mani, metterci la faccia, non tirarsi indietro, costruire futuro, primato della persona, condivisione. Fino a quel totem evocato a ogni piè sospinto che è la legalità. Ora si vuole costruire anche la Grande Rete per la Legalità!
Ma non perdiamo di vista Lea, che presto tornerà ad essere semplicemente Aza. Ormai è arrivata al vertice della piramide dimostrando di essere la persona più integerrima fra quante la circondano. La sua è stata una parabola breve ma intensa, ora inizia la discesa. Dopo lo scontro con vari collaboratori di cui ha scoperto le malefatte arriva il confronto finale con il grande capo.
“Un prete deve…Ma chi cazzo sei Silvano?”
“E tu chi sei? Una ragazza un po’ presuntuosa, che mette il naso dove non deve, svelta a fare i conti e trarre conclusioni”.
Nella terza e ultima parte Luca Rastello mette un po’ di fiction. Azalea non c’è più. Arriva un vendicatore, una sorta di giustiziere biblico che commina le punizioni. Un finale pulp alla Quentin Tarantino forse per distogliere lo sguardo dal nucleo centrale del romanzo.
Molto ha inventato Luca Rastello, ma molto ha messo delle sue esperienze personali di giornalista e come collaboratore del Gruppo Abele. Da leggere!
“Ci sono un codice palese e un codice occulto. Quello palese si recita ogni giorno, come un rosario. Ma sei tanto più in alto nella piramide, quanto più pratichi il codice occulto. Al primo si attengono gli illusi. Il secondo rende peccatori. Dunque perdonabili. E attraverso il perdono il capo ti possiede”.

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1 risposta a Ho letto “I buoni” di Luca Rastello

  1. giuseppe scrive:

    a me invece il libro di luca non è piaciuto. dopo “piove all’insù” mi aspettavo tanto. e invece ho trovato un libro un po’ vigliacco, in cui il pretesto letterario ha permesso all’autore di fare quello che forse non è riuscito, o non gli è stato consentito, come giornalista: denunciare il sistema clientelare (a suo dire) e sostanzialmente illegale del gruppo abele.
    la storia poi non mi sembra né originale né scritta bene.
    quel che resta è una sensazione di amaro e di denuncia in parte inespressa.

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