Ho letto “Musica” di Yukio Mishima

La mente umana è davvero strana, nonostante sia animata da contrasti estremi ricerca sempre un ordine rigoroso.
E’ un tascabile che mi aveva incuriosito. Non avevo ancora letto nulla del grande scrittore giapponese, la cui esistenza, epica ed ingombrante insieme, mi era ben chiara fin dal 1985, quando ebbi l’occasione di assistere a Cannes alla prima di “Mishima: una vita in quattro capitoli” di Paul Schrader, una produzione Lucas-Coppola (musiche di Philip Glass!) di cui ricordo ancora i gadget, come la bandana indossata dallo scrittore suicida col rituale seppuku, regalati ai giornalisti. C’è da dire che la drammatica vicenda di Mishima non portò fortuna al regista (Tuta Blu, American Gigolò, Il bacio della pantera) perché dopo questo film non ne azzeccò più una.
Musica ha per protagonista un medico, uno psicanalista, al quale si presenta una ragazza di nome Reiko che afferma di non riuscire a sentire la musica. Come si comprende presto dalla vicenda Reiko è una bugiarda patentata. Il suo problema è in realtà quello di non riuscire a raggiungere l’orgasmo. Non a caso il libro è presentato con l’artificio letterario di essere una relazione sull’interpretazione psicoanalitica del caso di frigidità di una giovane donna. Il bravo medico, giovane e ancora inesperto, con pazienza, seduta dopo seduta sul consueto lettino dello psicanalista, ascolta le tante bugie e le poche verità dell’irritante ragazza, le decodifica, smonta e rimonta ogni tassello della vita della paziente, sogni, episodi accaduti nell’infanzia, rapporti con gli uomini, lottando altresì per non farsi coinvolgere sul piano personale. La vicenda si sviluppa quasi come un giallo appassionante fino ad un inevitabile lieto fine. Un telegramma al medico per fargli sapere che “la musica si sente, la musica non smette mai”.

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