Ho letto “Lo stendardo” di Alexander Lernet-Holenia

…la folla di coloro che erano venuti pur non potendo più venire, l’esercito invisibile dei caduti e dei dispersi, un esercito glorioso, rutilante di uniformi e sfavillante di decorazioni che, quantunque presente solo in spirito, aveva forse più diritto di noi a essere lì. Perché il vero esercito non è fatto di vivi, bensì di morti.
Mi ero ripromesso di leggere qualcosa in occasione del centenario dell’inizio del primo conflitto mondiale ed eccomi qui, con questo capolavoro di Alexander Lernet-Holenia scritto nel 1934 che segue di un anno Ero Jack Mortimer, splendido romanzo ma di tutt’altro contenuto rispetto alle abituali tematiche militari trattate dallo scrittore  austriaco. Dopo un breve capitolo che costituisce una sorta di premessa dell’autore dieci anni dopo la fine della prima guerra mondiale, viene narrata in prima persona da Herbert Menis la sua incredibile storia. Con la guerra ormai agli sgoccioli, siamo nel 1918, l’esercito austro-ungarico si sta sfaldando. Quel trattino che unisce le due parole forse non è mai riuscito a unire veramente sotto una stessa bandiera e in un unico esercito popolazioni tanto distanti e assai diverse tra loro. A Belgrado nasce un amore impetuoso e travolgente tra l’alfiere Menis e la bella Resa Lang. I due si sono conosciuti all’Opera (si davano Le nozze di Figaro) quando il giovane, con una certa improntitudine, era entrato nel palco reale per conoscere la ragazza che accompagnava l’arciduchessa Maria Antonia. Per la sua sfacciataggine e l’incidente creato nel palco, Menis viene spedito con foglio di via lontano da Belgrado. Ma il reggimento a cui viene assegnato è di stanza a poche ore di cavallo dalla città. Su Resa ha effettivamente fatto colpo e con diversi stratagemmi la notte stessa prima di partire riesce a incontrarla al Konak, la fortezza che ospita i reali. Molto ligio al dovere, Menis commette varie irregolarità per incontrare l’amata e per tre notti lascia il proprio accampamento, percorre molte miglia per raggiungere Belgrado e far rientro prima dell’adunata del mattino. Resa però, nonostante le insistenze del giovane che fa leva su una sua possibile morte in battaglia, non gli concede che pochi baci. “E adesso perché non vuoi da me nient’altro se non quell’unica cosa che in fondo anche tutti gli uomini vogliono quando fanno la corte a una donna?”
Intanto però l’alfiere Menis ha individuato nello stendardo del reggimento un nuovo oggetto di desiderio e quando con la morte del portastendardo l’insegna viene affidata a lui dal comandante la bella innamorata è quasi dimenticata.
…questo stendardo di un reggimento che ancora esisteva, che ancora combatteva, lo stendardo del mio reggimento, lo guardavo ora con tutt’altri occhi. Questo drappo biancosporco, fiero e modesto, al quale si tributavano grandi onori, rappresentava la gloria insanguinata. Ora anch’io sapevo cosa significasse versare il proprio sangue.
Il drappo è diventato ormai un’ossessione per il ragazzo.
Ma in guerra succedeva davvero un fatto strano: la truppa sapeva quasi sempre prima degli ufficiali certe cose che sarebbero accadute.
Non sorprende quindi che nell’imminenza della prossima fine alcuni reparti si rifiutino di andare al fronte, soprattutto se si tratta di etnie diverse da quella tedesca.
Non si può pretendere da questi semplici contadini ruteni quello che si può pretendere dai suoi tedeschi. Anche in uniforme questi uomini rimangono quei contadini che sono. Ma soprattutto rimangono dei ruteni”.
Erano reparti stanchi e poco motivati a proseguire una guerra ormai persa. L’ammutinamento arriva sui ponti sul Danubio che conducono a Belgrado: i reparti tedeschi sparano sui propri alleati e compiono una carneficina, proprio mentre gli inglesi stanno entrando in città. L’esercito austro-ungarico si è dissolto. Herbert Menis con alcuni ufficiali ripara nel palazzo del Konak, ormai evacuato dai reali. Lì trova Resa, rimasta per aspettarlo, ma la tratta con freddezza. Gli importa soltanto di difendere lo stendardo del reggimento che, ripiegato e nascosto dentro la giubba, vuole difendere a costo della morte.
Ma infine mi decisi a sfiorare quel broccato, come se accarezzassi i riccioli di una sposa; era morbido al tatto, come la chioma di una fanciulla; quella era notte di nozze, ma non la celebravo con colei alla quale avevo promesso di venire, la celebravo con questa bandiera, che era pura come mai una fanciulla era stata.
Gronda retorica e significati simbolici questo romanzo di Lernet-Holenia che nelle descrizioni delle battaglie e delle susseguenti rovine evidenzia tutta l’inutilità della guerra.
La fine dei combattimenti è, come sempre, un’odissea, formazioni sfasciate, reparti mescolati alla rinfusa: ungheresi, polacchi, cèchi, boemi, austriaci assaltano treni nel tentativo di tornare a casa.  Il dopo guerra vede Menis raggiungere Vienna, dove nel frattempo è tornata Resa Lang, figlia di ricchi industriali. Ma prima di ricongiungersi con lei deve ancora adempiere a un compito, raggiungere la Hofburg e consegnare lo stendardo per cui è stato pronto a dare la vita, ma che sarà bruciato nel caminetto del Castello di Schönbrunn assieme agli altri simboli della monarchia in esilio.
Romanzo stupendo.
“Giuriamo solennemente davanti a Dio Onnipotente di non abbandonare mai le nostre truppe, le armi, le bandiere e gli stendardi…”.

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