Ho letto “Il delitto di Montmartre” di Claude Izner

Il piacere è l’anticamera del rimpianto, come il sonno lo è della morte.
La storia narrata in questo romanzo dalle due sorelle libraie che si celano sotto lo pseudonimo di Claude Izner è ambientata nel 1891 e segue di due anni Il mistero di rue des Saints-Pères e di uno La Donna del Père-Lachaise, sicché grazie agli abbondanti riferimenti culturali disseminati nelle storie e alle appendici storiche sugli anni in questione che le autrici inseriscono in ciascun romanzo il lettore si costruisce un quadro esauriente della Parigi fin de siècle.
I controlli più severi sono comunque riservati ai caffè-concerto. Le gambe nude non sono tollerate e guai alle ballerine che osano esibirsi senza culotte!
Victor Legris, giovane libraio letterato con l’hobby della fotografia e soprattutto appassionato investigatore dilettante, è alle prese con il mistero di una ragazza vestita di rosso ritrovata strangolata e senza scarpe a Montmartre, vicino a uno degli incroci più trafficati di Parigi, il carrefour des écrasés. A Victor viene recapitata una scarpetta rossa in cui è nascosto un biglietto da visita della libreria. La faccenda agita molto Kenji Mori, il padre putativo e socio di Victor, che in un collegio femminile mantiene una figlioccia alla quale aveva regalato un identico paio di scarpe. Iris, la ragazza, gode tuttavia di buona salute e il giapponese si tranquillizza. Ma in Victor Legris si è ormai insinuato il tarlo delle indagini e come sempre parte in quarta a setacciare tutta Parigi a caccia di indizi, anticipando la stessa polizia: “La Salpêtrière non ha più segreti per voi, e non ce l’hanno neppure il Moulin Rouge, il carrefour des Ecrasés e i dintorni del Bièvre, tutti posti che recentemente avete passato in rassegna… Potremmo discuterne lontano da orecchi indiscreti?”.
Se Victor è molto più avanti dell’ispettore Lecacheur è anche grazie al suo commesso Joseph Pignot, detto Jojo, che a volte ne anticipa le deduzioni o comunque con le sue osservazioni mette il padrone sulla buona strada.
Presto si aggiunge un nuovo cadavere, un giovane accoltellato e gettato in una botte piena di vino. Era stato lo spasimante della ragazza. E poi ancora una cantante di café chantant, trovata strangolata in casa, che si rivelerà essere la mamma della fanciulla. In ogni luogo tuttavia l’assassino, posto che si tratti dello stesso in tutti e tre i casi, ha disperso degli indizi. Mera distrazione o messinscena?
Quando la scimmia non sa niente, sostiene il contrario e presto saprà tutto.
Ora Victor si indirizza verso il mondo notturno di Parigi, con i suoi locali – Chat Noir e Moulin Rouge – dove ballerine indiavolate, ballando il cancan e lo chahut sollevano le gonne e lasciano vedere i mutandoni e qualche brandello di carne a signori in cilindro, letterati, giornalisti, pittori come “un nobilastro non più alto di un tappo, ma con un nome che non finisce più: Henri de Toulouse-Lautrec”, musicisti “l’occhialuto con la barbetta si chiama Erik Satie ed è un compositore di carattere caustico”.
Sono questi continui riferimenti che rendono piacevole la lettura dei libri di Claude Izner. Al terzo volume della serie si è creato un affiatato gruppetto di caratteri. Con Kenji Mori e le sue sagge citazioni (“la rana nello stagno non sa nulla del mare aperto e non soffre”), la figlioccia Iris venuta ad abitare nell’appartamento sovrastante la libreria, Jojo che intravede ormai una carriera da scrittore, Tasha la pittrice amante di Victor ancora alla ricerca di una sua identità artistica.
Quanto all’indagine, prosegue tra alti e bassi, tra dicerie, pettegolezzi, sospetti, false piste, pedinamenti, ma Victor Legris è implacabile.
Victor decise che rifletterci in modo analitico non sarebbe servito a nulla. Doveva fidarsi del suo intuito.

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