Ho letto “La signora in verde” di Arnaldur Indriðason

Indriđason come Mankell? Reykjavik come Ystad? L’agente Erlendur come il commissario Wallander? Il parallelo mi sembra eccessivo dopo aver letto per la prima volta questo scrittore islandese, Arnaldur Indriđason. Ben altra profondità ha lo svedese, pur tra alcune somiglianze, a cominciare dalla sfera privata. Identico invece è il fascino del nord. Dovrò quindi mettere in scaletta per le prossime settimane la lettura di un nuovo romanzo su Erlendur per aver un metro di giudizio più preciso.
La vicenda della signora in verde è, in ogni caso, appassionante e prende le mosse dal ritrovamento di uno scheletro durante i lavori per nuovi insediamenti abitativi sulla collina di Reykjavik. Le indagini portano Erlendur a scavare nel passato, quando, durante la seconda guerra mondiale, in quella zona c’era una casetta poi abbattuta. Persone e storie dimenticate riemergono, proprio come gli archeologi chiamati sul luogo del ritrovamento fanno riaffiorare, poco alla volta e con molta cautela, lo scheletro. La narrazione si sviluppa su due piani convergenti: la triste storia di una povera famiglia negli anni del conflitto e l’indagine investigativa dei giorni nostri. La loro alternanza si intensifica e si accorcia a mano a mano che il romanzo si avvicina all’epilogo, fino a sovrapporsi. E proprio in questo aspetto sta l’originalità della narrazione. Pubblicato in Islanda nel 2001, è uscito da noi nel 2006.

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