Ho visto “Magazzino 18” di Simone Cristicchi

L’archivista Persichetti è inviato dal Ministero degli Interni al Porto Vecchio di Trieste, al Magazzino 18, a contare e catalogare, insomma inventariare, quanto contenuto. Sono duemila metri cubi di masserizie accatastate lì da più di sessant’anni, frutto del più grande esodo di massa che abbia conosciuto il nostro Paese. E’ la conseguenza del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 che consegna alla Jugoslavia una intera regione italiana: l’Istria, Fiume e Zara. Sono oltre 300 mila gli italiani – italiani da generazioni – che se ne vanno abbandonando tutto. In mezzo a quelle cassapanche di foto ingiallite / e di esistenze scampate alla bora / sono nascoste migliaia di vite /che nel silenzio ci parlano ancora… Persichetti/Cristicchi poco alla volta racconta le loro storie attraverso una sedia, un armadio, una fotografia, un quaderno di scuola, un giocattolo… E ci raccontano chi ha perso tutto / tranne la propria dignità / chi ha preferito un presente distrutto / a un’ipotetica libertà…
Cristicchi ci racconta le foibe. Fa parlare Domenico, 27 anni, e con lui Luigi, Tonin, Giovanni, Norma… tutti “caduti” dentro la foiba, in tempo di pace ché ormai la guerra è finita da due anni.
Dentro la buca, dentro la buca, tutti dentro la buca
Noi, camerati, noi comunisti
noi partigiani o poveri cristi
Ma accanto a fatti più o meno conosciuti (ma c’è ancora chi si accanisce a negarli) prendono forma altre vicende. Alzi la mano chi ha mai sentito parlare della strage di Vergarolla. E’ solo da pochi anni che si sta cercando di alzare il velo dell’oblìo sull’esplosione di un deposito di materiale bellico, avvenuta il 18 agosto 1946 sulla spiaggia di Vergarolla a Pola durante gare giovanili natatorie. Si contarono quasi cento morti, in gran parte ragazzi. Cristicchi ce la racconta e sottolinea l’eroismo del dottor Geppino Micheletti che continuò a operare i feriti per oltre 24 ore nonostante lui stesso avesse perso i due figli, un fratello e la cognata.
Con immagini di repertorio, con fotografie, con le canzoni  Cristicchi racconta l’esodo: sessantamila si fermano a Trieste, ottantamila emigrano all’estero, gli altri finiscono nei campi profughi di tutta Italia. La motonave Toscana fa la spola tra la Jugoslavia e Ancona. Poi sono dieci anni di vita grama in ex campi di concentramento, ospedali, vecchie caserme, spesso tra l’ostilità della gente.
Cita alcuni istriani e fiumani che fecero fortuna. Per tutti, canta 1947 uno dei brani più struggenti di Sergio Endrigo, partito da Pola a 14 anni.
Da quella volta non l’ho rivista più, cosa sarà della mia città.
Ho visto il mondo e mi domando se sarei lo stesso se fossi ancora là.
Perché c’è anche chi ha scelto di rimanere. Sono “i rimasti”, troppo vecchi per partire, troppo uniti alla terra per lasciarla alle spalle. Vita dura anche quella: sei rimasto? Comunista, traditore. Sei italiano? Sei fascista!
Se non fosse drammatica ci sarebbe da ridere per la vicenda del contro-esodo. Sono duemila operai dei cantieri navali di Monfalcone che, imbevuti di cieca ideologia comunista, chiedono di entrare in Jugoslavia a ricercare il sol dell’avvenir. Ma hanno fatto male i conti. Il 28 giugno 1948 Stalin espelle Tito e la Jugoslavia dal Cominform e gli operai monfalconesi, comunisti ortodossi, devono essere ‘rieducati’. Via! Tutti all’Isola Calva, Goli Otok. Racconta Cristicchi che mentre in Italia già imperversava il Festival di Sanremo, questi italiani morivano di stenti in prigione. E i pochi compagni che l’hanno scampata si sono guardati bene da raccontare questa storia.
Da bravo archivista, Persichetti completa il suo lavoro e consegna l’inventario. Poi tutto sarà caricato e spedito. Restano solo i fantasmi delle masserizie e la volontà di non dimenticare.
Non mi era mai successo di commuovermi a teatro. E così tanto. Qualche lacrima l’ho trattenuta nel corso dello spettacolo, ma sul brano di chiusura mi sono lasciato andare e all’accensione delle luci in sala ancora mi asciugavo gli occhi con il fazzoletto.
Io non ho un nome, potrei averne cento,
come le vittime di questa storia,
io porto il nome di chi non conosce
nessuna vittoria…
Dio mio, Simone Cristicchi, che cosa hai fatto? Il tuo essere ‘altro’ rispetto a questa vicenda ti ha consentito di raccontarla senza condizionamenti, senza fare sconti a nessuno. Davvero hai sollevato un velo e tolto la polvere da un pezzo di storia italiana del Novecento rendendolo accessibile a tutti. Anche io ero ‘estraneo’ rispetto alle vicende dei profughi istriani. Sapevo del villaggio giuliano-dalmata a Roma perché confinante con la Cecchignola dove avevo fatto il militare. Certo, sapevo delle comunità istriane insediate in ogni parte del Paese. Conoscevo questo pezzo di storia d’Italia per quanto (poco) riportato sui libri di scuola e colpevolmente non l’avevo mai approfondito per conto mio. Ho seguito i dibattiti, ma direi le polemiche, che di tanto in tanto saltano fuori sui giornali (come un fenomeno carsico!). Sapevo in modo approssimativo delle traversie di qualche anziano conoscente originario di quelle parti. L’impressione era che se ne dovesse parlare poco. Ora Magazzino 18 fornisce una occasione di conoscenza e di approfondimento, senza preconcetti, senza strumentalizzazioni ideologiche.
Non è un offesa che cede al rancore,
non è ferita da rimarginare,
è l’undicesimo comandamento:
“non dimenticare”...
Magazzino 18 si avvale della regia di Antonio Calenda e della produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Simone Cristicchi ha scritto quasi tutti i testi e le musiche. Alcune sono di Valter Sivilotti che ha anche arrangiato i brani. Lo spettacolo ha debuttato al Politeama di Trieste il 22 ottobre 2013. Ovunque applausi e standing ovation. La tournée continua e spero lo vedano in molti. A Torino arriverà soltanto il 19 febbraio 2015 al teatro Colosseo. Una sola recita! D’altra parte in molti lo hanno visto in tv, trasmesso da Rai Uno il 10 febbraio per il Giorno del Ricordo. Non senza polemiche, come è italica consuetudine.

 

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