Ho visto “Abacuc” di Luca Ferri (32 TFF)

Abacuc (Dario Bacis, unico interprete del film) è un gigante muto (salvo cantare brani di chiesa) che sembra uscito dalla matita di Jean-Michel Folon oppure dai pennelli di Botero. Con un libro sottobraccio si aggira perlopiù dentro i cimiteri, a volte con una parrucca in testa, talvolta in un negozio di parrucche, su una barca o un pontile o una zattera. I suoi spostamenti sono continuamente interrotti da voci registrate, femminili e maschili, che annunciano ripetitivamente la morte di Stravinsky o Schönberg o l’imminente fine del mondo oppure frasi come “santo diavolone, un ensemble jazz e al tempo stesso un meccanismo per castrare e per fottere” e ancora “volevo dirle che chi ascolta il jazz eiacula precocemente”. Come pure sono ossessivamente ripetitivi alcuni riff suonati all’organo. Di tanto in tanto compaiono inserti di ritratti fotografici d’epoca o raffigurazioni di scheletri. Tutto è filmato in bianco e nero super 8. Certo, probabilmente qui c’è la lezione postmoderna di Cinico Tv di Ciprì e Maresco. Di più non arrivo a capire e vorrei tanto aver partecipato all’incontro con il regista Luca Ferri (il documentario era inserito nella sezione “Onde” del 32. TFF). Boh! Si intitola Abacuc ma non ha nulla di profetico. Si può anche vedere un film e non capirci nulla. E non per questo sentirsi degli stupidi. Forse è proprio quello che ha voluto dire il regista che, come ultima sequenza, inserisce il ciccione…oops il diversamente magro dentro un’Italia in miniatura.
Salve caro Abacuc, sono la marchesa di Montetristo, lei crede che Dio esista?…i prepuzi di Gesù erano dodici: paradossi delle reliquie!

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