Ho letto “Missing – New York” di Don Winslow

Il mattino a Manhattan arrivò con il clangore metallico e il sibilo idraulico di un camion della spazzatura che portava via i peccati della notte. O almeno ci provava.
Finalmente Don Winslow abbandona gli stereotipi della sua produzione letteraria – i confini con il Messico, i sanguinari trafficanti di droga, il mondo californiano con le tavole da surf – attorno ai quali si stava attorcigliando e che, francamente, avevano un po’ stufato. Portandoci invece a spasso tra il Nebraska e New York ma soprattutto ridimensionando le carneficine e moderando il linguaggio, firma forse il suo romanzo migliore. Una detective story degna della migliore tradizione.
Mi chiamo Frank Decker. Ritrovo persone scomparse.
E’ un detective integro, dal passato non compromesso, senza scheletri negli armadi, con una educazione come si deve, appassionato al suo lavoro. Per la tenacia, quasi maniacale, con cui cerca le persone scomparse ricorda l’ispettore Erlendur Sveinsson, creatura dello scrittore islandese Arnaldur Indriðason.
Frank è stato soldato in Iraq, ora è sergente della polizia di Lincoln e ha buone possibilità di carriera, sua moglie Laura è avvocato e aspira alla carica di sindaco. A Frank nessuna delle due prospettive piace ed è per questo che alla prima occasione carica sulla vecchia auto di suo padre il fedele fucile Remington, una Colt calibro .38, una valigetta di abiti e se ne va. Del resto il suo matrimonio è in crisi, non hanno figli e Laura ne approfitterà per chiedere il divorzio.
Chi non crede al riscaldamento globale dovrebbe scendere da un’auto con l’aria condizionata a Lincoln, Nebraska, in agosto.
E’ un’estate rovente quando scompare una bambina che giocava davanti a casa. Hailey ha cinque anni. Sembra inghiottita nel nulla. Per prima cosa bisogna controllare la madre e qui il romanzo ci riporta alla triste cronaca di questi giorni.
La madre va nel panico. Esce di casa e dice che sua figlia è scomparsa. Poi trovi il corpo nel sottoscala della cantina, sotto il letto, a volte nella vasca da bagno, perché la madre pensa di lavare via la morte.
La madre in questo caso non c’entra, è una lavoratrice single che ha avuto la bambina da una storia con un nero. Hailey è afroamericana. Subito si mette in moto la macchina delle ricerche che negli Stati Uniti, nel caso della scomparsa di bambini, dispone di grandi mezzi. Le statistiche però dicono che il cinquanta per cento dei bambini sequestrati e uccisi viene ammazzato entro un’ora dal rapimento. Frank non ci sta: Da qualche parte nella mia testa c’era l’idea che se non riuscivamo a trovare il corpo di Hailey, voleva dire che lei era viva.
Frattanto anche un’altra bambina è scomparsa e questa volta il cadavere viene ritrovato. Si entra così nello schifoso mondo dei pedofili. Ma il tempo passa e le speranze di trovare Hailey viva si affievoliscono. Frank non demorde e quando lo staff delle ricerche viene smontato si congeda dalla polizia e si mette a cercarla in proprio. Da lì parte e gira mezza America, fiutando tracce, passando ore sui siti pedopornografici. Las Vegas, Los Angeles, Sacramento, Seattle, Dallas, Austin, New Orleans, Memphis, Chicago fino a New York. Dopo le prime cento pagine il romanzo fa un salto di un anno. Il detective ricostruisce brevemente le tante tappe e poi si concentra su due segnalazioni che potrebbero essere quelle decisive.
Sapevo quel che dovevo fare, ma non per questo mi piaceva. Come diceva mio padre, i lavori difficili non migliorano col tempo.
Quello che piace di Frank Decker è la sua etica, la sua tensione morale. E’ tenace e coraggioso, ma soprattutto rispetta la legge e si muove entro i limiti previsti da ciascuno stato. Si tiene in contatto con i suoi ex-colleghi che hanno ancora il fascicolo della bambina e non disdegna, anzi sollecita, l’aiuto delle varie polizie locali.
Le rimanenti duecento pagine tengono il lettore con il fiato sospeso e il cuore che accelera. Per un giorno e mezzo non sono più riuscito a staccarmi dal libro. New York si dimostra ancora una volta il centro di tutti i mali, di sguincio c’entra anche la mafia, tanto per cambiare. Nel narrare la sua solitudine e la vita randagia (ma come si nutre male quest’uomo!), Frank Decker mette anche molta autoironia.
Un cameriere mi offrì un bicchiere di champagne e lo presi. Poi una cameriera si avvicinò con qualcosa infilato sopra uno stuzzicadenti, e presi anche quello. Sono sempre stato convinto che il cibo gratis sia il più saporito.
Bravo Frank, ti aspettiamo al prossimo romanzo. Sicuro che ci sarà.

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