Ho letto “Frammenti di barriera” di Gipo Farassino

Questo libro è uscito qualche settimana fa abbinato a La Stampa, poi l’ho trovato in libreria. Credo non se lo siano lasciato sfuggire quelli che hanno i capelli bianchi e hanno vissuto la loro gioventù in barriera. I barrieranti, li chiama Gipo. Di Torino naturalmente, perché in un’altra città non lo capirebbero.
Anch’io ero tra quelli, pur se mezza generazione dopo. Gipo di Borgo Aurora, io dall’altra parte della ferrovia per Milano, ‘burg Vitoria’, compivo le mie scorribande lungo l’asse di via Chiesa della Salute partendo dal capolinea del 9, che quando arrivavo verso via Stradella i negozi si facevano più fitti e più civettuoli e pareva quasi di stare già in centro. Ma i tempi erano cambiati e di ciò che si racconta nel libro ho una memoria solo infantile.
Gipo ci accompagna attraverso una trentina di storie, tra personaggi pittoreschi, come Pane el padron dla Piola. Fisicamente avete presente quando si dice ‘un bel uomo?’. Ecco: tutto il contrario.. Oppure Madama Redoglia, con un seno da balia compensato, si fa per dire, da un culo deluso, le gambe secche e i piedi vaccini….. E poi i luoghi mitici per molti torinesi, ad esempio Fassio, il tabarin dei poveri in via Giacomo Medici o il Blechenduait Lutrario, con il suo giardino estivo oggi sacrificato al passante ferroviario….. ubicato proprio a fianco della stazione Dora, quasi un invito a via Stradella, non prima d’aver superato i gradini della passerella d’acciaio che scavalcando i binari ti sprofondava in una borgata di malinconia, fatta di case popolari, grigie come la scarogna, dove era difficile distinguere la nebbia dai fumi delle ciminiere….
E’ lo stesso Gipo delle sue canzoni, che ci racconta con affetto, a metà tra il nostalgico e il divertito, una Torino che non c’è più. Che forse è il caso di ricordare ma non di rimpiangere, se non per i propri vent’anni.
La pizza è schifosa / il vino è un inchiostro, / ma i due seduti nell’angolo in ombra / sono contenti come una Pasqua.

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