Ho visto “American Sniper” di Clint Eastwood

Terzo film dell’anno e terzo biopic (biographic picture). Tre opere molto diverse tra loro ma tutte profondamente americane. American Sniper è incentrato sulla vicenda umana di Chris Kyle, che lo sceneggiatore Jason Hall ha ricavato dall’autobiografia di Kyle (pubblicata in Italia da Mondadori, 2014)
Nato a Odessa (Texas) nel 1974, Chris Kyle aveva di fronte una vita da cowboy, domare cavalli, allevare tori e via dicendo. Fin da piccolo era stato avviato dal padre all’uso delle armi, verso le quali aveva una particolare predisposizione. Dopo gli attentati alle sedi diplomatiche in Kenia e in Tanzania del 1998 decide di fare qualcosa per il suo Paese mettendo a disposizione le sue capacità di tiratore scelto. Entra nelle forze speciali dei Navy Seals nel 1999. Come abbiamo visto in tanti film sui marines americani, Clint Eastwood ci mostra il periodo duro dell’addestramento che Kyle supera con tenacia e dedizione. Si è appena sposato con Taya quando viene inviato in missione operativa in Iraq. Sarà il primo di quattro turni per un totale di mille giorni in sei anni di attività. Fin da subito mostra delle eccezionali doti di cecchino. In genere viene impiegato dall’alto dei tetti nella protezione delle forze che operano tra le case. Per i suoi compagni diventa una leggenda. Alla fine della carriera saranno 160 le persone abbattute (anche bambini e donne se cercavano di farsi esplodere o lanciavano granate), tutte certificate dalla stessa Marina degli Stati Uniti. Chris Kyle continua a essere una leggenda anche a casa dopo il congedo. Una simile attività inevitabilmente lascia il segno, tuttavia come rivela a uno strizzacervelli dell’esercito si dice pronto a rendere conto a Dio di ciascuna di quelle uccisioni. Una leggenda così non poteva che finire male, paradossalmente ucciso da un ex commilitone stressato e psichicamente disturbato che stava addestrando al tiro in un poligono. E’ il 2 febbraio 2013.
Il film ci propone Chris Kyle a tutto tondo: nelle operazioni di guerra, seguiamo la traccia dei suoi proiettili, nei rari colloqui telefonici con la moglie a casa, nei pochi momenti domestici tra una missione e l’altra durante i quali tuttavia non riusciva a trovare la necessaria pace interiore. Naturalmente non manca la retorica (Bibbia e fucile, le assurde regole d’ingaggio, la responsabilità del tiro lasciata allo sniper) come in quasi tutti i film di guerra, in particolare in quelle guerre strane (la conta si è fermata alla seconda, ma quante altre guerre mondiali ci sono già state?) che sono troppo vicine ai giorni nostri per essere valutate compiutamente o raccontate al cinema. E non manca la retorica neppure nella filmografia di Clint Eastwood, accusato spesso di essere eccessivamente repubblicano o addirittura guerrafondaio. C’è anche chi non gli ha perdonato il reduce razzista di Gran Torino o chi gli imputa di essere l’esegeta cinematografico delle politiche degli Stati Uniti. Certo, molti lo vorrebbero ancora come ai tempi della trilogia del dollaro o al più come regista di film d’evasione come Jersey Boys. Personalmente lo ritengo un grande attore e un grande regista.
Due parole su Bradley Cooper. Qualcuno ricorda il ragazzo insicuro affetto da disturbo bipolare, finito in un ospedale psichiatrico dopo aver scoperto il tradimento della moglie in Il lato positivo? O il riccioluto agente DiMaso di American Hustle? In questo film subisce una metamorfosi incredibile diventando un colosso di muscoli, un invincibile soldato scavato nella roccia, che si acquieta soltanto con il definitivo ritorno a casa. Grande performance!

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