Ho visto “Euromaidan – Rough Cut” di Roman Bondarchuk (Trieste Film Festival)

Impressionante documento (non mi va di chiamarlo documentario) su tre mesi di rivolta in Ucraina. Dal 21 novembre 2013 al 19 febbraio 2014 un collettivo di filmmaker ha affiancato i rivoltosi per documentare la contestazione e i successivi scontri. Più che un videoreportage, più che una docufiction, le immagini sono incredibilmente e drammaticamente belle per essere state girate “sul pezzo”. Eppure il sangue è vero e i morti sono purtroppo reali. Con il materiale prodotto il regista Roman Bondarchuk ha ricavato dieci pillole compiute e assemblate in ordine cronologico, per un totale di sessanta minuti, che documentano l’escalation degli avvenimenti di Kiev. Dal movimento spontaneo contro la decisione del governo di Yanukovych di sospendere gli accordi di libero scambio con l’UE fino alla sua fuga verso la Russia passando per i massacri di piazza Maidan dove alla fine si contano cento morti. Sono immagini molto forti.
Tutto questo perché? Se lo chiedono in alcune sequenze gli stessi rivoltosi. Difficile pensare che sia stata solo la voglia di Europa. Ma ben sappiamo che il seguito è stato anche peggio, determinando poi il conflitto tra l’esercito ucraino e ribelli filorussi e una instabilità politica della nazione che si affaccia sul Mar Nero che non si è affatto conclusa. Sono ancora le conseguenze delle macerie dell’URSS, come emblematicamente dimostra l’abbattimento della statua di Lenin che aveva resistito alla caduta del comunismo. Eppure tra i dimostranti c’è chi l’avrebbe risparmiata. “Non si abbattono i simboli” dice qualcuno.
Il documento dà voce anche ai non antigovernativi, la generazione anziana che non si capacita di quanto sta accadendo e a cui le cose andavano bene anche prima.
Euromaidan ha fatto il giro di molti festival ed è approdato in questi giorni a Trieste nella rassegna che ha aperto più di una finestra sul cinema dell’Europea centro-orientale.

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