Ho visto “La teoria del tutto” di James Marsh

E’ sicuramente l’anno dei biopic. Quella del fisico Stephen Hawking è la quarta biografia importante che viene portata sugli schermi in questo scorcio di gennaio. Il regista inglese James Marsh ha scelto una sceneggiatura, firmata da Anthony McCarten, che si rifà al libro Verso l’infinito (Travelling to Infinity: My Life With Stephen), ovvero la vita dello scienziato vista dalla ex-moglie Jane Wilde Hawking. Il film prende le mosse nel 1963 quando Stephen è uno studente di grande talento all’Università di Cambridge – la sua specialità è la cosmologia e la sua fissazione è trovare un’equazione unica per spiegare la nascita dell’universo – e Jane è una studentessa di letteratura spagnola. Nonostante l’insorgere della malattia degenerativa di Stephen, il loro amore, sbocciato ad una festa universitaria, si trasforma in un matrimonio per lungo tempo felice, con lo splendido corollario della nascita di tre figli.
Della malattia di Hawking si sa molto ma non tutto (altrimenti sarebbe già stata sconfitta), è l’atrofia muscolare progressiva al cui insorgere il fisico nel film ricorda la SLA-sclerosi laterale amiotrofica del campione di baseball americano Lou Gehrig.
Gli vengono pronosticati un deterioramento fisico veloce e un’aspettativa di soli due anni di vita, ma Hawking prosegue i suoi studi e le sue ricerche confortato dalla quasi certezza che il cervello resterà immune dalla malattia. Le difficoltà quotidiane sono sempre più pesanti, la deambulazione sempre più faticosa, come pure scrivere e parlare. Stephen e Jane si sforzano di essere una famiglia normale. Ma se lo scienziato britannico grazie alla propria determinazione è riuscito a raggiungere livelli di assoluta eccellenza nella ricerca sui buchi neri e nella divulgazione scientifica, gran parte del merito è da ascrivere al sacrificio di questa straordinaria donna che lo ha affiancato fin quando le è stato possibile. Tanto è vero che dopo la separazione Hawking l’ha voluta al suo fianco in un momento molto significativo della sua vita: quando viene ricevuto dalla Regina Elisabetta per un’onorificenza, le dice “Guarda che cosa abbiamo fatto!”.
La scelta del regista è di spingere molto sugli aspetti familiari di Hawking e meno su quelli scientifici. In fondo è ciò che il pubblico vuole vedere e per cui è disposto a commuoversi: il grande fisico alle prese con la quotidianità, come sopperire alla difficoltà di muoversi, comunicare e giocare con i figli piccoli, come trasmettere conoscenza anche dopo la tracheotomia che gli causa la perdita di quel filo di voce che ancora conservava. Qui interviene Elaine, un’esperta infermiera e assistente, che con una tabella di lettere e colori lo aiuta a compitare interi libri, lettera dopo lettera. E’ chiaro fin dalla sua comparsa che nella vita di Stephen Elaine prenderà il posto dell’esausta Jane, che a sua volta convolerà a nuove nozze con Jonathan, il maestro del coro della loro parrocchia, un vedovo che per un certo periodo ha aiutato la famiglia Hawking nelle incombenze quotidiane.
“Finché c’è vita, c’è speranza” è l’apparentemente banale frase che la voce sintetizzata di Stephen Hawking dice al termine di un recente incontro pubblico. Oggi a 73 anni continua a vivere e a inseguire l’universo a modo suo.
Non ci sono parole per descrivere la bravura del 33enne attore britannico che impersona Hawking. Eddie Redmayne, pur nell’immobilità, riesce a trasmettere, anche solo con un semplice battito di ciglia, la grande voglia di vivere e soprattutto la smisurata ironia del personaggio. Non gli è da meno Felicity Jones (Jane Wilde) che alla dozzina di pellicole al suo attivo aggiunge una performance da nomination agli Oscar come migliore attrice protagonista. Tra i comprimari spicca Emily Watson, che interpreta la madre di Jane. Il film è già campione d’incassi. Pare che Stephen Hawking lo abbia gradito molto.

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