Ho visto “Timbuktu” di Abderrahmane Sissako

Non è un film. E’ il campionario delle nefandezze a cui sono sottoposte le popolazioni dominate dalla jihad islamica. Proibito fumare, proibita la musica, proibito il calcio, proibito affacciarsi a finestre e balconi, proibito sostare in strada… La vicenda di Kidane, Satima e della loro figlioletta Toya, una famiglia nomade che vive di pastorizia sotto una tenda al di fuori del villaggio, passa in secondo piano. E’ solo un pretesto per assemblare un film con un minimo di trama. Ma l’intenzione del regista originario del Mali Abderrahmane Sissako è far aprire gli occhi su quanto potrebbe accadere ovunque si affacci l’IS.
Il film ha inizio con il passaggio di un ostaggio occidentale da una tribù a un’altra. Una scena destinata a rimanere isolata rispetto al resto. Poi la storia di Kidane, condannato a morte per aver freddato un pescatore che aveva ucciso una sua mucca che si era impigliata nelle reti gettate nel fiume. A questa narrazione si alterna la vita del villaggio i cui abitanti oppongono – debolmente – la forza delle loro tradizioni alla crudeltà della polizia islamica. D’altra parte gli integralisti vengono da fuori e vogliono sottomettere la popolazione con il pretesto dell’osservanza della fede. Intanto gli adulteri vengono interrati fino al collo e lapidati. I giovani sorpresi in casa a suonare e cantare (una delle scene più struggenti) sono poi frustati pubblicamente. Le donne fanno maggiormente le spese di regole ottuse (devono indossare sempre guanti e calze). Le ragazze vengono prese e fatte sposare contro la volontà loro e delle famiglie. Questo lo abbiamo visto anche in Difret, ma qui non c’è Andenet che le difende.
In uno dei momenti più intensi del film i ragazzi in un campo polveroso con le porte vere improvvisano una partita di calcio senza il pallone. Indossano le maglie dei campioni del calcio mondiale e ne mimano le azioni. Surreale.
Altra sequenza da ricordare: un ragazzo viene costretto a recitare slogan jihadisti davanti a una telecamera. La registrazione viene ripetuta più volte perché il ‘regista’ non è mai soddisfatto del risultato. A far da contrasto c’è la vita serena della famigliola nella tenda sulle dune, in un paesaggio quasi fiabesco nonostante la povertà, fino all’incidente che provoca l’arresto del padre. Nel finale la bimba Toya si metterà a correre come la gazzella che fugge dalle belve che la inseguono.
Il film di Sissako è un messaggio infilato dentro una bottiglia e affidato alle acque del Mediterraneo. E’ giunto fino a noi, sapremo interpretarlo? Più che una richiesta di aiuto sembra voglia metterci in guardia.
Girato in Mali e Mauritania nel 2012, Timbuktu è candidato all’Oscar 2015 quale miglior film straniero. La cantante maliana Fatoumata Diawara interpreta la ragazza sorpresa a cantare in casa. Una musica bellissima, come la fotografia di tutto il film.

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Cinema. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*