Ho visto “Ida” di Paweł Pawlikowski

E’ tornato nelle sale Ida, in virtù del successo come miglior film straniero agli Oscar 2015 avendo avuto la meglio, tra gli altri, dell’argentino Storie pazzesche e del mauritano Timbuktu.
Il regista polacco Paweł Pawlikowski ha firmato un film strepitoso dal punto di vista estetico, con inquadrature molto accurate a cui ha giovato senza dubbio la fotografia in bianco e nero. Per i dialoghi scarni, i lunghi silenzi, l’austerità della storia mi ha ricordato il cinema di Robert Bresson. In effetti Pawlikowski chiede pochissima recitazione alle due attrici protagoniste, Agata Trzebuchowska (Anna/Ida, la novizia) e Agata Kulesza (Wanda, la zia). Sono sufficienti i primi piani dei loro volti per capire il lavoro di introspezione dei personaggi.
Dentro il film c’è un pezzo di storia polacca, dai crimini nazisti dell’Olocausto a quelli stalinisti degli anni ’50. La vicenda è ambientata nel 1962, quando Anna, orfana cresciuta in convento, sta per prendere i voti. La madre superiora la invita, prima di compiere questo passo, a prendere contatto con l’unica parente rimastale, la zia Wanda Gruz. Anche se malvolentieri la ragazza si reca a Varsavia a incontrare la zia che le rivela che in realtà il suo nome è Ida e la sua origine è ebrea. I genitori erano stati uccisi sommariamente durante la guerra e la piccola Ida era stata affidata a un convento. Subito emergono i contrasti tra le due donne. Wanda è una single, disinvolta sessualmente e semi alcolizzata, depressa, chiaramente a disagio con la vita e con un passato (che è anche quello della Polonia) difficile da dimenticare. E’ stata combattente antinazista, è magistrato e militante comunista e in questa veste ha anche condannato a morte degli oppositori al regime. Anna/Ida non si lascia fuorviare dalle sue intenzioni: chiede solo di poter rintracciare il luogo dove sono stati sepolti i genitori per fare poi ritorno al convento in tempo per la cerimonia dei voti. Wanda e Ida per alcuni giorni girano insieme la Polonia, ritrovano i luoghi, rintracciano i carnefici e si fanno accompagnare in un bosco per disseppellire le spoglie dei parenti, poi ricomposte in un cimitero ebraico a Lublino. Questa parte è un piccolo road-movie all’interno del film, un viaggio nelle miserie di quegli anni.
Ida ha così conosciuto la vita al di fuori del convento, i piaceri a cui la zia non si sottrae ma soprattutto l’origine della sua famiglia e la crudeltà umana. Rientrata al convento, non si sente pronta e rimanda l’ingresso definitivo nella congregazione. Nel frattempo giunge la notizia del suicidio di Wanda, così Ida ritorna a Varsavia per i funerali. La rivediamo in casa della zia dove, smesso il saio da novizia, si veste coi suoi abiti. Fuma, beve, sperimenta tutti i piaceri a cui si dedicava la zia, compresi quelli carnali. Sarà la sua scelta ultima? Il breve, scarno dialogo conclusivo con il giovane sassofonista con cui ha fatto l’amore e che le propone di sposarla è da storia del cinema.
Film capolavoro sulla fede, sulle contraddizioni delle religioni, sull’antisemitismo, sui retaggi dei crimini nazisti e comunisti. Su tutto questo si stagliano due indimenticabili figure di donna. Oscar strameritato.
Il personaggio di Wanda Gruz è ispirato a Helena Wolińska-Brus, magistrato militare implicata in tristi pagine della vita polacca. Riparata in Inghilterra dopo la crisi del 1968 per lei venne chiesta più volte, inutilmente, l’estradizione dopo la caduta del comunismo. Ma questa è ancora un’altra storia.

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