Ho visto “Miracolo a Le Havre”

Altro che miracolo a Le Havre! Il vero miracolo è fare un film così di questi tempi. Poetico, delicato, ricco di speranza. Mentre lo guardavo mi veniva in mente che Kaurismaki è l’essenza del cinema, che una storia si racconta così, con le immagini e con pochi dialoghi, nessuna inquadratura sprecata. Il protagonista è in effetti un uomo di poche parole, con un portamento e una dignità che fanno pensare a un capo pellirosse. Vive in un quartiere povero di una città di mare che potrebbe essere ovunque e in un’epoca qualunque. Il suo nome, Marcel – come quelli degli altri personaggi: Arletty, Claire, Yvette…. – evoca d’altra parte una storia senza tempo, che però è quanto mai attuale, trattando il tema dell’immigrazione clandestina. Anche Marcel a suo modo è un clandestino: fa il lustrascarpe abusivo e viene puntualmente cacciato dai marciapiedi dove cerca di lavorare. E non si tira indietro quando c’è da aiutare un ragazzino nero. Anzi è in prima fila per organizzare una raccolta di fondi che consentano al ragazzo di pagarsi un passaggio in barca per raggiungere Londra. Scatta attorno a Marcel e al suo protetto la solidarietà di una comunità povera e generosa. Fiaba nella fiaba è la malattia della moglie, dapprima giudicata inguaribile e poi tornata a rifiorire. Come il ciliegio nel cortile.
Sono grandiosi gli attori André Wilms (Marcel) e Kati Outinen (sua moglie Arletty), già indimenticabile interprete di altri film del regista finlandese (“La fiammiferaia”, “Le luci della sera”, “L’uomo senza passato”….), mentre si rivede un irriconoscibile Jean-Pierre Léaud, l’attore-icona di Truffaut, nell’antipatica figura di un delatore. C’è sempre molta musica nei film di Kaurismaki. La fisarmonica non manca mai e c’è il juke-box che inquadra perfettamente l’atmosfera dei bistrot dell’angiporto. Ma la vera chicca è la scoperta (o riscoperta) di un personaggio marginale del rock francese anni sessanta, Little Bob, al secolo Roberto Piazza, figlio di un italiano ma nato proprio a Le Havre.

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