Ho letto “False piste” di John Banville

I morti ottengono molte più lodi di quanto meritino, pensò, e solo per il fatto di essere morti.
John Banville è uno scrittore che non delude mai. Sia quando scrive dell’anatomopatologo Quirke, con questo siamo al quinto romanzo – Dove è sempre notte (2006), Un favore personale (2007), Congetture su April (2010), Un giorno d’estate (2011) – sia nel resto della sua corposa produzione narrativa. Anche in False piste Quirke porta in primo piano i suoi problemi, le sue debolezze, la sua umanità e il caustico umorismo che lo caratterizza.
La vicenda vede il suicidio di un importante businessman irlandese, Victor Delahaye: un colpo di pistola sulla barca a vela con cui sta regatando con Davy, il giovane figlio del suo socio, a cui aveva appena raccontato un apologo su fiducia e lealtà. L’indagine sui motivi del suicidio è molto delicata perché c’è di mezzo l’alta borghesia di Dublino. L’ispettore Hackett, a cui è affidato il caso, chiama Quirke ad aiutarlo in veste di medico legale. I due hanno sempre avuto un reciproco silenzioso riguardo per le rispettive debolezze.
Quirke fissava il cappello dell’ispettore. “Conosco un tipo” disse, “un dipendente pubblico, che ha due cappelli, uno che indossa e uno che lascia in ufficio. Se qualcuno lo cerca mentre è al pub, la segretaria dice: Oh, dev’essere qui in giro nel palazzo, c’è il suo cappello sull’attaccapanni”.
La vicenda si fa ancora più oscura allorché pochi giorni dopo si verifica un’altra morte misteriosa, proprio Jack Clancy, il papà di Davy, viene ritrovato annegato dopo un’uscita solitaria in barca a vela. Si tratta di suicidio anche questa volta e i due fatti sono legati tra loro, oppure c’è dell’altro? Forse uno stesso assassino?
Per chi ha dimestichezza con le altre storie della serie è evidente che il vero investigatore è l’anatomopatologo che tuttavia si muove un po’ maldestramente in quell’ambiente così elitario, soprattutto se si tratta di incontrare donne come la giovane e bella vedova di Delahaye.
Alcune donne, stava pensando Quirke, sembrano avere una doppia presenza. Come se, oltre alla donna in carne e ossa, ci fosse contemporaneamente una versione più vivida di lei, un’altra lei invisibile che emana dalla prima e la circonda come un’aura.
Qualche indicazione arriva a Quirke dalla figlia Phoebe, con la quale ha sempre avuto un rapporto difficile. Phoebe ha conosciuto e frequentato i gemelli Delahaye, figli del suicida, e mette il padre in condizione di distinguerli da un particolare. Brutta famiglia comunque, i Delahaye, ma anche i Clancy non sono da meno. In apparenza è bella gente, ricchi, felici e tutti legati fra loro, soprattutto i giovani che vivono di party e costosi passatempi. Ma non appena viene cancellata questa dorata patina superficiale, il lettore rischia di perdersi nell’intrico dei loro odi, tradimenti, gelosie, vendette trasversali.
“E le false piste, scusa? Gli scrittori non mettevano forse dei diversivi per depistare il lettore?”.
Thriller sopraffino, pubblicato in originale nel 2012 con il titolo Vengeance, è uscito questa primavera da Guanda con la buona traduzione di Irene Abigail Piccinini.

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