Ho letto “La ballata di Adam Henry” di Ian McEwan

Fiona Maye è giudice dell’Alta Corte britannica in servizio alla Sezione Famiglia. E’ sposata da trentacinque anni sempre con Jack, senza figli, dai conoscenti è definita come una donna  che ha “divino distacco, diabolica perspicacia e una bellezza che non sfiorisce”. Come giudice ha svolto la sua carriera occupandosi di feroci dissidi coniugali, di affidamenti di figli, di questioni patrimoniali tra coniugi, esercitando sempre ragionevolezza e buon senso laddove invece imperversa l’irrazionalità.
E i figli? Pedine di una scacchiera, moneta di scambio pronta all’uso da parte di madri, vittime di abbandoni economici o affettivi da parte di padri; pretesti per lo scambio di accuse di maltrattamenti reali o più o meno cinicamente inventati…
Dedita totalmente al lavoro, Fiona ha forse trascurato il suo rapporto di coppia e se ne rende conto nel momento in cui il marito le confessa candidamente di vivere una felice relazione con una esperta di statistica ventottenne per cui le chiede comprensione: “Ne ho bisogno. Ho cinquantanove anni. E’ la mia ultima occasione. Sull’aldilà non ho ancora raccolto prove inc0nfutabili”.
Amareggiata, totalmente spiazzata da quella confessione, Fiona si dedica con furore a un caso che è chiamata a giudicare: un ragazzo quasi diciottenne malato di una forma grave di leucemia per il quale i medici richiedono una trasfusione immediata. Ma i genitori e lo stesso Adam Henry sono Testimoni di Geova e si oppongono. Tutti sono intransigenti e per il ragazzo la decisione equivale a un suicidio. Deciderà la corte.
In deroga alla deontologia professionale, Fiona Maye decide di avere un contatto diretto con il minore e scopre così un bel ragazzo reale, violinista dilettante, poeta in erba, molto più maturo della sua età ma soprattutto ostinatamente legato alla vita.
I modi e il senso dell’umorismo di Adam avevano quel tocco stralunato che a volte si accompagna al genio. Ed erano senz’altro una difesa.
La conoscenza diretta la porta infine a decidere per la vita e alla deroga dalla necessità di consenso alla emotrasfusione da parte dei genitori e del ragazzo stesso.
Il benessere era una questione sociale. Il cui ingrediente base era costituito dalla rete complessa delle relazioni del bambino con familiari e amici. Nessun bambino è un’isola. L’uomo è un essere sociale, come recita la celebre definizione di Aristotele.
Adam rifiorisce e si avvia alla guarigione, ma intanto si è morbosamente attaccato a Fiona che pure ha continuato saltuariamente a fargli visita. Le scrive poesie, le manda lettere imbarazzanti. Il giudice gli aveva ridato la vita, l’aveva liberato dalle pastoie della religione ma Adam, che nel frattempo è diventato maggiorenne, si è trovato spiazzato.
Intanto il marito di Fiona appare e scompare nell’appartamento coniugale, sempre con la valigia in mano, sempre indeciso sulla decisione definitiva.
La ballata di Adam Henry di Ian McEwan, scrittore sopraffino, è un bel romanzo che solleva inevitabilmente tanti temi e interrogativi tra i quali la scelta che la giudice è chiamata a fare è soltanto il più appariscente. Il titolo originale del romanzo, The Children Act, fa riferimento all’Atto del 1989 con cui il Parlamento inglese definisce le funzioni attribuite a tribunali e genitori per garantire e promuovere il benessere dei minori.
Benessere, felicità, bene dovevano contenere il principio filosofico di qualità della vita.

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