Ho letto “Ventiquattro ore nella vita di una donna” di Stefan Zweig

Invecchiare non significa altro che non aver più paura del proprio passato.
Scrittore tra i più prolifici, Stefan Zweig è stato sempre molto saccheggiato dal cinema. Persino Wes Anderson si è ispirato alle sue opere, non una in particolare, dedicandogli il pluripremiato Grand Budapest Hotel. Si contano a decine i film ricavati dai suoi libri. Anche più film dalla stessa fonte, come nel caso di Ventiquattro ore nella vita di una donna, racconto lungo da cui sono stati tratti film nel 1944, 1952, 1968, 2001, quest’ultimo con Agnès Jaoui protagonista. Dunque, al centro della vicenda non può che esserci una importante figura femminile. In un grand-hotel della Riviera gli ospiti passano le giornate in chiacchiere e passatempi superficiali.
La maggior parte delle persone ha una fantasia ottusa. (…) ma se succede qualcosa, anche la più irrilevante, proprio sotto i loro occhi, in vicinanza immediata con i sentimenti, subito risveglia in loro una passione smisurata. In tal modo compensano l’assenza di un loro coinvolgimento con un’inopportuna ed eccessiva violenza.
Il fatto in questione è la fuga di una signora, in vacanza con marito e figli, con un giovanotto arrivato in albergo da appena ventiquattr’ore. Subito scatta la riprovazione di tutti gli ospiti, unico a prenderne le difese è il narratore che comprende come una donna, provata da anni di matrimonio noioso e deludente, possa compiere un gesto tanto risoluto.
Ma il suo atteggiamento è segretamente condiviso da una donna anziana.
Mrs. C., l’alta e distinta signora inglese dai capelli bianchi, era tacitamente la presidentessa della nostra tavolata.
L’anziana lady non vedeva l’ora di confidarsi con qualcuno che potesse comprendere un suo segreto inconfessabile risalente a un quarto di secolo prima, quando a Montecarlo aveva vissuto le ventiquattro ore più spaventose della sua vita. Ovviamente c’è di mezzo il gioco. L’allora quarantenne Mrs. C., appena rimasta vedova, molto benestante e con due figli ormai grandi, aveva assistito alla rovina di un ragazzo al tavolo della roulette. Era rimasta ammaliata da quella insana ossessione e aveva seguito il giovane giocatore avendone intuito le intenzioni.
In quel momento rimasi come impietrita. Perché avevo compreso immediatamente dove se ne stava andando: verso la morte.
La donna continua a raccontare le sue folli ventiquattro ore, senza omettere nulla se non i dettagli più scabrosi che una signora di sessantacinque anni non può proprio raccontare. Salva il ragazzo dal suicidio, passa la notte con lui, gli salda i debiti, lo convince ad astenersi per sempre dal gioco d’azzardo. Ma invano, il demone del gioco è più forte di tutte le promesse. La letteratura è piena di giocatori perduti: Dostoevskij, Maupassant, Schnitzler, Puškin, Landolfi…
La confessione di Mrs. C. al suo sconosciuto compagno di vacanza è come una rigenerazione: “E’ stato un bene per me averle potuto raccontare tutto ciò: adesso mi sento più leggera, e quasi felice…”

Altri libri letti:
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Notte fantastica

 

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