Ho letto “Il dio del massacro” di Yasmina Reza

Alain: “Véronique, io credo nel dio del massacro. E’ il solo che governa, in modo assoluto, fin dalla notte dei tempi.”
Di solito o guardo il film o leggo il libro da cui è tratto. Mi sembra assurdo andare a cercare le differenze: sarà pur libero il regista di trarre da un testo letterario ciò che ritiene più confacente alle sue idee! Questa volta però dopo aver visto “Carnage”, il bel film di Roman Polanski, ho voluto procurarmi il testo dello spettacolo teatrale di Yasmina Reza da cui è tratto. “Il dio del massacro” conferma la potenza della parola, oserei dire la superiorità della scrittura rispetto all’immagine. La carneficina verbale a cui si sottopongono le due coppie – già molto forte nel film – è ancora più viva e trasuda da ogni riga del sottile libretto pubblicato da Adelphi. Soprattutto quando le schermaglie portano i quattro a calibrare il significato di ogni parola.
Véronique: “La parola ‘armato’ non era opportuna, l’abbiamo cambiata. Tuttavia, se ci si attiene all’esatto significato della parola, il suo uso non è improprio.”
Bruno e Ferdinand, i figli undicenni delle due coppie, hanno litigato e il secondo ha colpito il primo spaccandogli due denti. Ora Alain e Annette sono nel salotto di Michel e Véronique a scusarsi e in qualche modo a giustificare il loro figlio.
Annette: “Ferdinand è stato insultato e ha reagito. Se qualcuno mi attacca, io mi difendo, soprattutto se sono di fronte a una banda.”
Naturalmente sull’altare del dio del massacro tutto viene sacrificato: buon senso, educazione, convenzioni borghesi, solidarietà di genere.
Michel: “I figli fagocitano la nostra vita e la sgretolano. I figli ci portano alla rovina, è una legge. Quando vedi le coppie che convolano a giuste nozze col sorriso sulle labbra, tu pensi, non lo sanno, non sanno niente poveracci, sono tutti contenti.”
Yasmina Reza chiude la commedia in maniera interlocutoria dopo aver massacrato tutti i riti e i totem della nostra epoca (il cibo, il telefonino, gli ansiolitici, il buonismo equosolidale…..). Nel film Polanski si spinge più in là: i quattro si affacciano alla finestra e vedono giocare tranquillamente nel parco i propri figli che hanno già superato e metabolizzato l’incidente.
Una curiosità. Le coppie al loro interno usano da sempre dei vezzeggiativi. Alain chiama Annette “Chips”. Da dove viene “Chips”? Alain: “Da una canzone di Paolo Conte che fa chips, chips, du-du-du-du-du.” Spostando la vicenda in America, Polanski usa “Sgorbio” come nomignolo della donna e il riferimento a “Via con me” sparisce. Peccato! Ma New York non è Parigi, dove l’avvocato di Asti è un idolo, e lì non avrebbero capito.
Alain: “…le donne impegnate, risolute, be’ non è questo che ci attira nelle donne, quello che ci attira è la sensualità, la follia, gli ormoni, ci fanno orrore le donne che ostentano la loro lucidità, le guardiane del mondo…”

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Cinema, Libri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*