Algoritmi e sentimenti in “Macchine come me” di Ian Mc Ewan

Letteratura e cinema ci hanno consegnato nei decenni storie affascinanti di robot, di esseri artificiali, di macchine sempre più capaci di un pensiero simile all’uomo. Fino a questo Adam, simile in tutto e per tutto all’uomo. Charlie Friend (cognome non casuale, come vedremo), il ragazzo che lo ha comprato, investendo l’intera eredità che gli ha lasciato sua madre, avrebbe voluto aggiudicarsi una Eve tra i venticinque prototipi esistenti nel mondo – dodici Adam e tredici Eve – ma erano tutte assegnate e ha dovuto accontentarsi dell’esemplare maschio. Il trentaduenne Charlie è un solitario, campa ricavando quanto basta per vivere facendo trading on line, dopo aver sperimentato diversi mestieri. Ha adocchiato Miranda, l’inquilina del piano di sopra, che vorrebbe sposare e portare a vivere in un quartiere elegante di Londra. Intanto la coinvolge nella gestione dell’androide. Adam è indistinguibile da un uomo vero, non fosse che per la presa di corrente per la ricarica inserita nella nuca, dove c’è anche un interruttore per la messa in stand by, cosa che presto dimostrerà di non gradire. La vicenda è ambientata nel 1982 durante gli ultimi bagliori della guerra per le Isole Falkland tra Inghilterra e Argentina e sullo sfondo ci sono le proteste di piazza contro la Thatcher. La fantasia di McEwan colloca in quell’epoca strumenti arrivati molto dopo o eventi mai accaduti, Lennon è vivo e vegeto e i Beatles si sono ricostituiti. Lo stesso trading on line non esisteva ancora, così come i telefoni cellulari. Inoltre fa rivivere uno scienziato famoso come Alan Turing, defunto fin dal 1954, che diventa l’interfaccia di Friend per capire meglio la natura del suo androide.
Intanto Adam è gestito e condiviso tra Charlie e Miranda. Compie ogni tipo di servizio in casa e fuori, come addirittura compiacere la ragazza, pur innamorata di Charlie, con prestazioni sessuali. Dunque abbiamo di fronte una macchina che pensa, che ha delle pulsioni umane. Charlie sorvola sulla scappatella di Miranda con la macchina e utilizza nottetempo le capacità di elaborazione di Adam per fare affari sul web. In breve mette da parte una fortuna che gli servirà per acquistare la famosa casa nel quartiere chic. Non solo, Adam è una macchina onnisciente, parla di letteratura e di filosofia, è capace di collegarsi con tutti i laboratori, i centri di ricerca, gli archivi sparsi nel mondo. Cosa molto utile a Miranda che è ancora una studentessa. L’amicale ménage à trois procede per il meglio, ma Adam inizia a dare segni di malessere, confessa di essersi innamorato di Miranda, si ribella quando viene messo in pausa, infine usa la propria intelligenza artificiale per indagare sui segreti di Charlie e della ragazza che scopriamo avere avuto qualche problema con la giustizia.
Vendetta? Algoritmi fuori controllo? La macchina che si ribella all’uomo? Concetto già visto e rivisto. Ma Adam è stato concepito con un livello ‘alto’ di giustizia e la sua legge recita “Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno”. Semplicemente l’etica della macchina supera l’amicizia. Il finale è micidiale. Fortuna vuole che il costruttore intenda ritirare tutti i venticinque esemplari avendo ravvisato un pericoloso malfunzionamento. Charlie cerca di rinchiuderlo in un armadio e conservarlo fino a quando verrà risolto il problema, poi lo porta da Turing. Ai due ragazzi non resta che reinventare il proprio futuro. Romanzo intrigante e distopico, questa è la fantascienza che mi piace.

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