“I volti della guerra” di Martha Gellhorn, cinquant’anni di corrispondenze dai fronti

L’attesa è una parte importante della guerra, una parte difficile.
Libro strepitoso che ci accompagna attraverso cinquant’anni di guerre che hanno incendiato il globo.  Martha Gellhorn è stata una grande reporter di guerra, passando dalla Guerra di Spagna fino ai conflitti dell’America Centrale degli anni ’80. Giusto cinquant’anni al fronte, come recita il sottotitolo. Ha pubblicato una prima edizione di questo libro nel 1959, poi lo ha via via rieditato aggiungendo i reportage successivi dai vari fronti di guerra nel mondo. Questa è l’edizione definitiva pubblicata nel 1993 (la giornalista è deceduta a Londra nel 1998 a novant’anni) poi tradotta da il Saggiatore nel 2009. Ha lasciato una ventina di libri, quasi nulla è disponibile in italiano. Di lei si è occupata Lilli Gruber nel volume La guerra dentro (2021), mettendo in evidenza il fatto che è stata la terza moglie di Ernest Hemingway, come pure il film Hemingway & Gellhorn (2012) di Philip Kaufman che aveva protagonisti Nicole Kidman e Clive Owen nei ruoli di Martha e Hemingway. La pellicola mette al centro i conflitti professionali tra gli allora coniugi all’epoca della Guerra di Spagna. Dello scrittore premio Nobel del 1954 invece nel libro di Gellhorn non c’è proprio traccia.
Giornalisticamente Martha Gellhorn vanta alcune primogeniture, tra queste l’essere stata la prima donna a entrare a Dachau e a testimoniarne gli orrori. Per il libro ha selezionato alcuni articoli delle sue corrispondenze, raggruppandoli in otto capitoli per altrettante guerre, più un capitolo intermedio quando, nel 1946, il mondo sembrava andare incontro a un periodo duraturo di pace. Che errore.
L’unico pensiero chiaro e universale è: arrivare fino in fondo. Vinci la guerra e falla finita con tutto questo. Adesso bisogna vincere, bisogna vincere e il più in fretta possibile.
Così scriveva nel novembre 1943 accompagnando i bombardieri inglesi verso la Germania. Colpisce la sua capacità di farsi accettare ovunque, anche nei momenti più critici, e poi raccontare episodi minori che però danno una visione umana a guerre che un senso non  hanno. Gellhorn scrive della guerra di Finlandia, di quella di Giava, della guerra di Cina. Lo fa con efficacia e immediatezza. Bisognerebbe calarsi in quelle epoche per capire i riflessi che hanno avuto le sue corrispondenze.
La sua amarezza maggiore risale al periodo della guerra in Vietnam, quando i suoi articoli venivano tagliati e censurati, pur dovendo lei stessa autocensurarsi scrivendo. Al pubblico americano veniva indorata la pillola. La versione ufficiale americana della guerra, definita un filantropico sforzo per salvare il popolo vietnamita dal comunismo, fu un autentico trionfo di pubbliche relazioni, mentre sul napalm non badavano a fare economie.
Il problema del mondo, scrive Gellhorn nelle ultime considerazioni sul Vietnam datate 1988, è l’amnesia collettiva, il tacito e mutuo accordo a dimenticare la vergogna.
Dimenticare è una normale attività umana, sebbene in genere il risultato della dimenticanza di errori e misfatti commessi nel passato sia il loro ripetersi nel futuro.
Questo vale ancora oggi.

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