Da Martha Gellhorn agli inviati di guerra di oggi, bellezza e responsabilità del giornalismo

I più esposti di tutti sono sempre i cameraman. Non solo perché devono avvicinarsi molto alla scena, ma perché a un soldato nervoso con il dito sul grilletto le telecamere da quella distanza possono sembrare armi.
Di solito non leggo i libri scritti da giornalisti (e da politici) che sfornano volumi a ritmo sostenuto il cui interesse però scema nello spazio di un mattino. Per Lilli Gruber, che pure si è messa a scrivere con una certa assiduità, ho fatto una eccezione. Perché la figura di Martha Gellhorn, con tutto quello di leggendario, di romantico e di letterario che si porta dietro, mi intrigava parecchio. Fin dai tempi del film Hemingway & Gellhorn (2012) di Philip Kaufman che aveva protagonisti Nicole Kidman e Clive Owen nei ruoli di Martha Gellhorn e Ernest Hemingway. Quel film coglieva in pieno l’essenza dei caratteri dei due personaggi e del loro rapporto. Qui si parla anche di Hemingway e Gellhorn, ma La guerra dentro non è una biografia della famosa reporter di guerra, come uno si aspetterebbe visto il sottotitolo e la copertina.
Lilli Gruber prende spunto dalle vicende della terza moglie del grande scrittore (che le aveva dedicato Per chi suona la campana) per fare un excursus sulla professione di giornalista inviato sulle scene dei conflitti. Così il libro risulta un po’ pasticciato, con salti cronologici avanti e indietro nell’attività di Gellhorn, con gli inserimenti sull’attività di altri reporter come la spagnola Angela Radicio, corrispondente per TVE dai Balcani e dal Medio Oriente, la giornalista bosniaca Edina Neretljak che ha vissuto l’assedio di Sarajevo, e soprattutto di Jacques Charmelot, giornalista di punta di Agence France Press, uno degli inviati di guerra più esperti e quotati nonché marito della stessa Lilli.
Comunque i punti salienti dell’attività di Martha Gellhorn ci sono tutti: la feroce competizione giornalistica con Hemingway (peraltro ben evidenziata nel film), il loro matrimonio nel 1941 con relativo viaggio di nozze di lavoro in Oriente, la sua presenza sotto le bombe sovietiche a Helsinki durante la Guerra d’inverno nel 1940 (c’era anche Montanelli che la raccontava in modo diverso, mentre Lilli Gruber scrive Mi pare difficile che una donna innamorata di Ernest Hemingway potesse trovare affascinante Indro Montanelli), la sola donna corrispondente di guerra sulla spiaggia dello sbarco in Normandia, la prima giornalista a entrare nel campo di concentramento di Dachau subito dopo la liberazione. Si potrebbe continuare ancora con le tante medaglie professionali simboliche che si poteva appuntare. Sempre indipendente e controcorrente, riteneva di essere diventata un registratore che cammina e che ha gli occhi. Scrive Gruber che il suo marchio di fabbrica sono le frasi brevi e d’effetto, cesellate alla perfezione e unite per creare una rappresentazione impeccabile dei fatti. La ricchezza e la precisione della sua scelta lessicale sono impressionati.
Ma, come detto, il libro vale per le riflessioni sul mestiere di corrispondente, anche se la Lilli nazionale talvolta sconfina nell’autocompiacimento essendo stata pure lei un’inviata di guerra. Lascia però le considerazioni principali ai suoi intervistati. Angela Radicio: Ci sono due tipi di giornalisti: quelli che non lasciano mai che la storia rovini la notizia, e quelli che non lasciano che la notizia rovini la storia. Edina Neretljak riassume così l’essenza della professione: Essere coraggiosi e di mentalità aperta, prendere ‘cum grano salis’ le versioni ufficiali delle varie parti in causa, comprese quelle del proprio Paese, soprattutto quando è coinvolto nel conflitto. Insomma, i principi del buon giornalismo. Jacques Charmelot: La qualità fondamentale è lo scetticismo: la molla che ti spinge ad andare oltre le apparenze.
Fuor di retorica, le guerre sono cambiate, il modo di raccontarle anche ma sono sempre i più poveri a pagarne le conseguenze. Il volume di Lilli Gruber, letto in questi drammatici giorni, assume ancora maggior valore e il pensiero va ai tanti corrispondenti di guerra oggi in Ucraina.

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