Tre lezioni estive

La manovra e la montagna
Ho visitato il Messner Mountain Museum – Ripa – nel castello di Brunico proprio nei giorni di agosto in cui è divampata la polemica sulla soppressione dei comuni sotto i mille abitanti. E’ ovvio che chi ha lanciato questa proposta – non oso dire chi l’ha studiata, perché è mancato proprio l’aspetto dell’approfondimento – non ha avuto modo di vedere un museo come questo. Altrimenti avrebbe capito che anche un comune di soli 100 abitanti in montagna ha una sua ragion d’essere. Il Ripa – termine tibetano che significa ‘uomo di montagna’ – presenta infatti, nell’ambito di un progetto articolato che conta altri quattro musei in Alto Adige e nel Cadore, proprio il rapporto tra la montagna e gli insediamenti abitativi. In Europa come negli altri continenti.
Attraverso l’esplorazione e la descrizione del misterioso mondo degli abitanti delle montagne – dai Masai dell’Africa orientale agli Indios delle Ande, dagli Hunza e Balti del Karakorum ai nostri Walser e alle genti degli Alti Tatra – il museo di Messner punta l’obiettivo sul rapporto tra cultura alpina e cultura urbana e indica nell’integrazione tra agricoltura di montagna e turismo una strategia di sopravvivenza della montagna stessa.
La stupidaggine contenuta nella proposta di Tremonti (o chi per lui) stava proprio nei tagli e negli accorpamenti fatti in modo indiscriminato. Non dico che non bisogna metter mano alla riorganizzazione dei piccoli comuni, ma occorre farlo con raziocinio, esaminando caso per caso e soprattutto non nell’emergenza di una manovra finanziaria fatta per recuperare soldi. Risparmi che comunque verranno di conseguenza se l’Anci, ad esempio, avrà voglia di occuparsene con serenità e senza infingimenti. Faccio due esempi per dimostrare la complessità della materia. Una Val Maira che a ovest di Roccabruna, cioè nella parte più aspra del territorio, conta dieci comuni (forse troppi) per complessivi 1500 abitanti, non può vedere accorpati, ad esempio a Dronero, servizi amministrativi e rappresentanza politica. Non è così che si combatte lo spopolamento delle valli alpine. La valle è lunga 45 km, tortuosa, articolata in tante frazioni situate a vari dislivelli!
Diverso è il discorso della ricca Valle d’Aosta, dove non mi parrebbe scandaloso riunire Gressoney-Saint-Jean e Gressoney-la-Trinitè in un solo comune. Ma anche in questo caso va considerata la storia. Disgiunti fino al 1928, ci aveva pensato il fascismo a riunirli italianizzando il nome in Gressonei, per poi ricostituirsi nuovamente in comuni separati nel 1946 dopo la liberazione. Tuttavia formano un’entità culturale, teritoriale e linguistica (il dialetto titsch) unica e non si può non tenerne conto.
Ho parlato solo di piccoli comuni montani, ma fuori dall’emergenza si può ragionare di accorpamenti più in generale, senza rigidità e tenendo in cosiderazione tutte le specificità che in definitiva costituiscono la ricchezza del nostro Paese.

L’Aquila come Pompei?
Un evento musicale di mio interesse mi ha portato a fine luglio in Abruzzo. L’occasione era ghiotta per una visita all’Aquila – dove purtroppo non ero mai stato ante terremoto del 2009 – anche perché avrei avuto un cicerone di assoluto valore, l’amico Massimo Alesii che lì è nato e risiede. Arrivando in città dall’autostrada mi aspettavo di vedere dall’alto un certo numero di gru in funzione. Ne ho contate solo 6! Meno di una goccia d’acqua rispetto alla distruzione provocata dal terremoto del 6 aprile. Massimo mi ha accompagnato nel centro storico raccontandomi pezzi di storia della città di fronte a chiese, monumenti, palazzi distrutti. Abbiamo anche sconfinato, lo confesso, per qualche metro nella zona rossa tuttora presidiata dagli alpini. Sono rimasto senza parole di fronte alle rovine e soprattutto ascoltando i racconti sull’inadempienza della politica – tutta, di destra come di sinistra. Tutto è rimasto come allora. Manca un piano complessivo, ovviamente all’approssimarsi della crisi economica ancora di più sono mancati i soldi. Ma quando i quattrini ci sono, anche per interventi minimi, le pastoie burocratiche e le querelle politiche bloccano tutto. Ricordate il G8 e la visita di Barack e Michelle Obama l’8 luglio di quell’anno? Avevano promesso di adottare due chiese, San Marco e Santa Maria Paganica. Sono passati due anni, tutto è rimasto come allora e neppure una pietra è stata rimossa. E i soldi di Putin promessi per la chiesa di San Gregorio, che fine hanno fatto? Il nostro premier ha forse tirato per la giacchetta gli illustri colleghi chiedendo loro di rispettare gli impegni presi (forse troppo frettolosamente sulla scorta dell’emozione della visita di allora)?
Questa è l’Italia che non amo, parafrasando il titolo di un saggio di Antonio Pascale dell’anno scorso: il paese dell’indifferenza, delle continue inadempienze, della non responsabilità e non decisione, il paese che non si risolleva dalle sue macerie. Il paese che pare non piaccia neppure a Berlusconi.
La visita all’Aquila è stata una lezione per me e sarebbe molto istruttiva per tutti gli italiani. Evitando però di guardarla come si guarda Pompei.

La Val Susa ha perso il treno
Fin troppo facile riferirsi al Tav e al movimento che ne è contrario. Il treno che la Val di Susa ha perso è quello del turismo. Chi si avventura a trascorrere le vacanze da quelle parti? Le cifre dell’estate 2011 parlano chiaro, è crisi nera. Le iniziative dei No Tav hanno certamente fatto la loro parte, allontanando quei pochi affezionati che la frequentano, ma sicuramente la qualità dei servizi non è all’altezza. Vengo da dieci giorni in Val Pusteria, vallata che frequento da 15 anni. La differenza con la Val di Susa è a dir poco abissale. Ma tutto il comparto turistico dell’Alto Adige è superiore sotto il profilo delle strutture e dell’accoglienza. Come pure lo sono il Trentino, il Cadore, la Valle d’Aosta e persino alcune altre valli piemontesi. E sono certo di non perdermi nulla se vado a sciare in Valle d’Aosta e per una escursione domenicale in montagna scelgo le valli del cuneese. Per non parlare della ristorazione, settore nel quale non mi sembra che la Val Susa proponga alcunché di attraente.
E’ finito e non è stato per nulla sfruttato anche il traino olimpico. Anni di attesa e di indecisioni dopo il 2006 in cui si è perso tempo in una lotta autodistruttiva contro il ‘mostro di ferro’. Il 2011 passerà alla storia come la più brutta estate valsusina, sperando che non ce ne siano di peggiori. Per sopperire ai guai provocati dai No Tav era attesa una campagna di promozione promessa dalla Regione. Che fine ha fatto? Ma poi che cosa avrebbe promosso? Sarebbe stato meglio accettare subito la sfida dello sviluppo che il Tav porta con sé, lavorare sulle compensazioni (reclamandone altre, perché no?) e dirottare ogni risorsa sul rilancio turistico ed economico. Oggi la Val Susa è un luogo triste, che ha perso il treno.

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1 risposta a Tre lezioni estive

  1. sante scrive:

    sottoscrivo a piene mani le righe dedicate alla “povera” Val Susa. Ieri ero a Bardonecchia … il deserto dei tartari. Ma il discorso è ampio e tu lo hai riassunto benissimo caro Riccardo. Fai un po’ di copia incolla presso i militanti duri e puri del “NO” e presso quegli amministratori che si sono visti passari sotto il naso una Olimpiade (una OLIMPIADE!) e hanno fatto spallucce. A costorsignori dello sviluppo del territorio, dell’occupazione, del futuro non importa nulla. Nualla di nulla.
    con amicizia
    Sante

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