“Mai morti” un monologo sempre attuale

Prodotto dal Teatro della Cooperativa, Mai morti è stato scritto da Renato Sarti ed è interpretato da Bebo Storti, attore drammatico (è stato l’avv. Coppi nel film Il traditore di Marco Bellocchio), ma lo ricordo in tante interpretazioni comiche ad iniziare dal Conte Uguccione a Mai dire gol. Il titolo del monologo, Mai morti, prende a prestito il nome di uno dei più terribili battaglioni della Decima Mas che operò a fianco dei nazisti nella repressione anti partigiana.
Lo spettacolo, un monologo incalzante di sessanta minuti, risale al 2000, quindi è piuttosto datato. Visto qualche giorno fa al Teatro Astra di Torino per la stagione del TPE, Mai morti rivela tuttavia ancora oggi la sua drammaticità e attualità, soprattutto se messo in relazione con quanto sta accadendo di questi tempi nelle nostre piazze, virtuali e reali.  Mi riferisco in particolare a quella chat orribile – The Shoah Party – gestita da ragazzini, in cui veniva fatta l’apologia del nazismo, dell’antisemitismo, dell’islamismo radicale, della violenza di ogni genere. Stiamo parlando degli smartphone di minorenni tra i 13 e i 17 anni. Ecco, a questi ragazzi bisognerebbe far vedere il monologo di Bebo Storti che interpreta un fascista mai pentito, un personaggio senza età che attraversa cento anni di storia, dai massacri perpetrati dagli italiani in Etiopia durante il fascismo (certo che abbiamo usato i gas) allo stragismo nero di piazza Fontana fino al G8 di Genova e alle ronde notturne di Casa Pound.
Esalta “le belle imprese” del ventennio e oggi è impegnato nella difesa dell’ordine pubblico. Dice l’attore, in una scena scarna con un letto, una scrivania, una sedia, un armadio: Personalmente faccio parte del comitato promotore per un gruppo di cittadini dell’ordine. Negri, viados, puttane, omosessuali, alcolizzati, drogati, spacciatori, ebrei zingari – quelli sempre -, extracomunitari slavi, magrebini, africani… Verde, nera, bianca, non è il colore della camicia quello che conta, quello che conta è capirsi bene sugli intenti finali… Con i negri non si fraternizza, non si deve… Oggi ci si scandalizza per quattro fischi a un centravanti negro allo stadio, eheheh…
Con lo sguardo sempre nascosto da occhiali neri, il repubblichino mai pentito agita una pistola ereditata da un nazista. Poco alla volta estrae dall’armadio una divisa militare e la indossa. Mentre passa dalla vestaglia all’uniforme, il linguaggio si fa sempre più violento, fino al classico Sieg Heil finale, urlato più volte a braccio teso. Una sorta di “stiamo tornando”, su cui conviene tenere desta l’attenzione. Riflettere e mai dimenticare, rammentare che il razzismo, il nazionalismo e la xenofobia sono tuttora difficili da estirpare. Questo ci dice involontariamente il nostalgico personaggio di Bebo Storti.

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