“Il treno dei bambini” di Viola Ardone, mortadella, tortellini e solidarietà

Quella dice che ai bambini bisogna dargli un’opportunità. Io ero più contento se mi dava pane, zucchero e ricotta.
Ho visto che è appena stato pubblicato un libro dello storico Bruno Maida, I treni dell’accoglienza. Infanzia, povertà e solidarietà nell’Italia del dopoguerra 1945-1948, che analizza un modello di solidarietà che si è sviluppato in Italia tra il 1945 e il 1948 quando dal Sud migliaia di bambini soli, abbandonati, o più semplicemente appartenenti a famiglie troppo povere, venivano accompagnati al Nord per essere temporaneamente inseriti in famiglie che li avrebbero nutriti, vestiti, istruiti, circondati d’affetto. Registi di questa grande operazione sono stati l’Unione Italiana Donne e il Partito Comunista. È un po’ quanto sarebbe accaduto quarant’anni dopo – e ancora per decenni – a livello internazionale con i bambini di Chernobyl. Ospitalità terapeutica che ha valicato ogni ideologia.
Ma se il saggio di Maida analizza le modalità di questo esodo dal punto di vista sociologico e politico, Viola Ardone nel suo libro innesta una bella storia sullo stesso substrato storico. Amerigo Speranza, otto anni, è il protagonista e l’io narrante. Vive in un povero basso napoletano con la mamma Donna Antonietta. Non ha un padre. È sveglio, una furbizia istintiva alimentata dalla vita nei vicoli, ha molti amici, tutti lo conoscono e chiamano Nobèl perché si interessa di tutto e sa un sacco di cose. Come tanti bambini di Napoli nel 1946 viene selezionato per essere inserito in questa rete di solidarietà e accoglienza. Così con mille timori e facendosi coraggio con alcuni compagni di viaggio, sale su uno dei treni che risalgono l’intera penisola per andare a trascorrere un anno in una famiglia del Nord. Staccarsi dalla mamma non è stato semplice. Il viaggio in treno offre ad Amerigo uno sguardo sull’Italia a guerra appena finita. Dal finestrino vede case crollate, carri armati capovolti, cose rotte, rovine ovunque. Il treno ogni tanto si ferma e salgono altri bambini con grida, pianti e risate.
Poi di nuovo torna il silenzio e rimane solo il rumore del treno e la tristezza nella pancia.
Amerigo arriva a Modena dove viene sistemato in una famiglia contadina che ha alcuni figli. Gente diversa, che parla e mangia in modo strano, mentre lui ha il suo dialetto e le sue tradizioni partenopee: Quelli dell’Alta Italia sono lunghi e larghi più di noi e hanno le facce bianche e rosa, io penso che si sono mangiati troppo prosciutto con le macchie.
A Napoli Amerigo non andava a scuola e girava per raccogliere stracci vecchi casa per casa e nella monnezza (a fare le pezze) da sistemare e rivendere. Qui viene accolto in una classe un anno indietro rispetto alla sua età perché deve cominciare da zero. Si accorge che i comunisti non sono, come dice quel luogo comune, gente che mangia i bambini. I tortellini sanno di accoglienza e non di carità, spiega il sindaco ai bambini arrivati da Napoli. Accoglienza, non carità, è il concetto che ispira tutta l’operazione. Figure fondamentali sono le donne comuniste che si contrappongono alle macchiette presenti nei vicoli, la Pachiochia e la Zandragliona, che hanno caratterizzato l’infanzia di Amerigo.
Accade che a scuola Amerigo vada molto bene e riveli anche una certa attitudine verso la musica. Impara a suonare il violino. Intanto si affeziona alla nuova famiglia. Finisce l’anno previsto dal programma e finalmente ritorna a Napoli. Ma il rapporto con la mamma non è più lo stesso. Lei vorrebbe che si togliesse i tanti grilli per la testa e riprendesse a fare la raccolta stracci. Ha persino venduto il violino che gli avevano regalato. Amerigo si arrabbia, scappa e torna al Nord. Fin qui tutto bene. L’ultima delle quattro parti in cui è articolato il libro che si svolge quasi cinquant’anni dopo è un po’ melensa. Viola Ardone eccede nel sentimentalismo, ma la storia raccontata nel complesso risulta appassionante e dà conto di quanto sia stata efficace l’operazione ‘treno dei bambini’. Alcuni di loro si sono sistemati per sempre nelle famiglie che li hanno accolti e hanno potuto fare una vita migliore.
Dice agli altri che io sono uno dei bambini del treno e che mi devono accogliere e farmi sentire a casa mia. A casa mia non avevo niente, penso. Quindi è meglio che mi accolgono come a casa loro.
Preziosa è la bibliografia di riferimento che Viola Ardone (napoletana, insegnante di italiano e latino al liceo, dopo il successo del suo libro anche opinionista per La Stampa sul mondo della scuola) ci consegna in appendice. Contiene indicazioni di saggi e romanzi che possono aiutare ad approfondire quanto accaduto in quegli anni. Personalmente di quei treni sapevo molto poco.

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6 risposte a “Il treno dei bambini” di Viola Ardone, mortadella, tortellini e solidarietà

  1. È costata molta fatica quella bibliografia alla fine del romanzo, tanto è vero che è stata pubblicata solo dalla nona edizione, dello scorso febbraio, in poi (e solo nelle edizioni italiane, in quelle estere nulla).
    Qui un mio approfondimento sulla questione di come la Ardone ha “utilizzato” le fonti, prima taciute, poi obbligata a rendere pubbliche: http://giorinaldi.wordpress.com

  2. Giovanni Rinaldi scrive:

    la letteratura ha il diritto di raccontare tutto con la propria prospettiva, ma se lo si fa a partire – in modo specifico, strutturale, riprendendo storie di persone viventi ma sconosciute ai più, riproducendo percorsi di vita ed esperienze già raccontati precedentemente – ha poi il dovere etico di riconoscere la fonte d’ispirazione, la persona che “nella storia vera” ha vissuto quello che la letteratura “romanza”, appunto. È un problema etico grande quanto una casa, che in un Paese come l’Italia, è stato silenziato, censurato, rimosso. Alla faccia della tradizione einaudiana dei Pavese, dei Ginzburg e di tutti gli altri, che vivevano la letteratura non solo come fatto estetico, ma etico in se stesso. Ma oggi siamo in un’altra Italia, in cui si può raccontare la So-li-da-rie-tà, senza essere solidali con nessuno che possa “danneggiare” il tuo successo. Grazie per l’attenzione.

  3. Enza scrive:

    Non ho letto il libro di cui mi parlò un’amica senza grandi entusiasmi. La vicenda suscita interesse indubbiamente, per le vite che vide coinvolte e per la smemoratezza endemica di cui siamo affetti. Ho letto i commenti sopra. Mi associo alle osservazioni del sig. Rinaldi. Certe dimenticanze non sono ammissibili.

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