¡Viva la vida!, il grido di dolore di Frida Kahlo

Quel 17 settembre 1925, la Morte mi ha fissato negli occhi, ha osservato il mio corpo nudo, insanguinato, coperto di polvere d’oro, e quando stava per protendere le braccia verso di me, quando ho sentito il suo alito gelido… ho lanciato quell’urlo che non poteva uscire dalla gola di una moribonda, un urlo di rabbia, un urlo di amore per la vita che non volevo abbandonare a diciott’anni, ho urlato il mio “¡Viva la vida!”.
Di Frida Kahlo e della sua appassionata esistenza sappiamo davvero tutto. Abbiamo visto film, letto libri, visitato mostre, non ultima quella che ha girato tutta Italia del fotografo Nick Muray che aveva avuto con Frida una breve relazione. Nei suoi ritratti fotografici era trasposto tutto il suo amore per Frida. Personalmente ricordo una mostra all’Orangerie di Parigi. Era gennaio 2014, ultimi giorni di apertura e la coda di pubblico era pressoché infinita. Gli amici che erano con me avevano rinunciato, io ero riuscito a imbucarmi grazie alla tessera da giornalista (poche volte ne ho approfittato, oggi non lo farei più). La mostra, L’art en fusion, abbinava quadri dei due coniugi, Frida e Diego Rivera. Tutto ciò per dire che c’è ancora poco da scoprire su di lei, se non leggere quanto è già stato scritto e che non si è ancora letto.
Così sono arrivato a questo testo, un librino edito da Feltrinelli nel 2014, che già era conosciuto diversi anni prima come copione teatrale. Vari gli allestimenti e le letture da parte di attrici, Chiara Muti nel 2009, la creazione di Assemblea Teatro del 2011 con Annapaola Bardeloni, replicata per anni, poi Anita Caprioli che dà anche voce all’omonimo audiolibro, fino al più recente allestimento del Teatro Biondo di Palermo con Pamela Villoresi, tuttora rappresentato.
Di Pino Cacucci conoscevo solo l’attività di traduttore di letteratura spagnola e latinoamericana, anche di autori come Javier Cercas e David Trueba che ben ho letto, e non la sua produzione di scrittore. Da un suo libro il famosissimo film Puerto Escondido.
Cacucci è un profondo conoscitore del Messico e della sua cultura. Nell’appendice al monologo ¡Viva la vida! scrive: Il Messico e Frida: un binomio onnipresente e un legame indissolubile, profondo. E ancora: Frida è l’anima profonda del Messico, rappresenta le sue radici ancestrali e l’ostinato attaccamento alla vita malgrado tutto: nata dalla pioggia nel paese dei cieli azzurri sugli altipiani dominati dai maestosi vulcani, silenti testimoni delle sue passioni e dei suoi drammi.
Dunque il monologo, che si legge in un amen. Frida ripercorre l’incidente, i giorni scanditi dalle operazioni, gli anni della mia vita con il mutare delle protesi sul mio corpo, dei busti in gesso e acciaio che ho dipinto e decorato con mille colori come fossero armature. L’incubo della Morte, da lei chiamata la Pelona, la Cagna Spelacchiata, che le danza attorno e le sarà compagna inseparabile per il resto della vita. L’incontro con Diego Rivera, l’amore della sua vita… Solo io so quanto sia bello Diego. Solo io. È come un cactus messicano: forte e possente, cresciuto nella sabbia e nella pietra vulcanica, irto di spine. E poi la politica, il partito comunista, il comitato centrale, l’incontro con Tročkij che si invaghisce di lei. La rabbia per i tradimenti di Diego: Animale! Hai ancora il suo profumo addosso, lurido rospo! Fai un olezzo dolciastro, sembra deodorante da cesso! Sai che gran miss doveva essere, la tua troia di turno, se usa un profumo così dozzinale! Preferisco il mio puzzo di cadavere! A cui risponde con i suoi tradimenti: Anch’io ho avuto tanti amanti. Non amori. Solo amanti. Quello scultore di New York, ad esempio, Isamu Noguchi, poi minacciato di morte da un Diego Rivera imbufalito. Oppure il già citato fotografo Nickolas Muray. Tra i pochi che non inorridivano di fronte al suo corpo martoriato. Solo al chiuso della sua Casa Azul di Coyocoán Frida Kahlo poteva sfuggire alla cattiveria altrui.
Io non sono malata. Sono a pezzi. Io non ho narrato il dolore dipingendo l’universo di me stessa, perché il dolore non si può raccontare. Non c’è linguaggio che possa esprimere il dolore.
Pino Cacucci in appendice, con momenti, immagini, ricordi sparsi del Messico, completa lo sfondo del quadro – è il caso di dirlo – dipinto a parole sulla vita di Frida, donna prima ancora che artista. L’autore ha dedicato scritti ad altre due donne e al Messico, Tina (1991) e Nahui (2005). Il primo dedicato alla fotografa Tina Modotti, grande amica di Frida, il secondo alla storia di Carmen Mondragòn, in arte Nahui Olin, definita la più bella donna di Città del Messico, pittrice, poetessa, musa di artisti.

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