“Fuori dal mondo” di Ragnar Jónasson, il terzo mistero d’Islanda

Dopo L’angelo di neve (2018) e I giorni del vulcano (2019), questo (2020) è il terzo libro della serie di sei Misteri d’Islanda, pubblicata da Marsilio. Comincio ad avere dimestichezza con questa località sperduta nel nord dell’Islanda, piccolo villaggio di pescatori isolato dal resto del paese se non con il collegamento di due tunnel stradali. È Siglufjörður, poco più di mille abitanti, un rinomato Museo dell’Aringa e poco altro. Basta cercarlo sulla cartina per capire quanto debba essere difficile la vita lì, dove vive e lavora il giovane poliziotto Ari Þór. Decenni di gialli nordici ci hanno ormai insegnato che il numero dei crimini da quelle parti è inversamente proporzionale a quello degli abitanti. Sarà il freddo, sarà il buio o l’eccesso di bianco in inverno, la solitudine.
Questa volta il nostro eroe si deve cimentare con un cold case (fa sorridere pensando all’Islanda) risalente al 1955. Uno sconosciuto gli ha fatto pervenire una vecchia foto che ritrae un gruppo di persone dicendo che qualcosa non torna. C’erano ritratte due coppie che abitavano in un fiordo poi abbandonato e tuttora disabitato. Una delle due donne era morta misteriosamente, forse suicida, forse avvelenata. Il caso venne archiviato come suicidio ma era difficile credere che una donna, per quanto depressa, potesse mettere volontariamente del topicida nel proprio caffè. L’uomo che si è presentato ad Ari Þór era il nipote della donna. Nella foto sono ritratti anche lui stesso, neonato, e un ragazzo di cui non si sapeva nulla. Quella vicenda era stata per anni sulla bocca di tutti poi è stata dimenticata. Il poliziotto cominciava a sentire una certa inquietudine.
Avrebbe bevuto volentieri un sorso del tè che non aveva ancora assaggiato, ma il pensiero del veleno nel caffè della povera donna lo induceva a esitare.
Così prende in carico quella storia e, senza promettere alcun risultato, inizia a indagare facendo domande in giro tra i vecchi del luogo. È un periodo in cui non c’è molto da fare perché in quei giorni Siglufjörður è resa ancora più inospitale da una infezione virale accertata su un francese in arrivo dall’Africa. L’infettivologo aveva allertato la protezione civile nazionale che aveva isolato il paese. Non si fa riferimento diretto al Covid, per brevità i media avevano ribattezzato la febbre emorragica come mal francese. Dunque solo Ari Þór e i suoi colleghi, oltre ai sanitari, sono autorizzati a muoversi per il paese.
Come in tutti i romanzi seriali ci sono dei personaggi ricorrenti e Ragnar Jónasson ne segue le vicende personali. C’è Tómas, il capo della polizia, ormai convinto di lasciare l’incarico e a ritirarsi a vita privata, non prima di aver guidato il suo sottoposto nel concorso per sostituirlo. C’è Kristín, già fidanzata convivente di Ari Þór e ora disponibile a tentare un riavvicinamento. Soprattutto c’è Ísrún, una giornalista molto motivata a diventare famosa ma purtroppo con qualche problema di salute. Di solito è lei l’inviata a Siglufjörður dalla tv di Reykjavík quando si tratta di casi di cronaca nera. Lo stesso Ari Þór è un personaggio particolare. Aveva abbandonato gli studi di teologia per entrare in polizia e subito è stato spedito in quella landa sperduta.
Naturalmente non è tutto lì. In parallelo si sviluppa una trama più ‘calda’: viene rapito il neonato di una coppia, il figlio di un importante politico viene investito di notte e tutto sembra tranne che un banale incidente. La giornalista d’assalto in questo caso è fedele alleata del poliziotto. Cosa non si fa per una esclusiva.
Mi piacciono tremendamente questi gialli nordici ambientati in luoghi di incredibile bellezza. Partirei subito per un posto freddo. Se l’Islanda è fuori dal mondo, Siglufjörður lo è ancora di più. Se leggete i noir islandesi non lasciatevi spaventare dai nomi dei luoghi, ci si abitua presto.

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