“Il pensionante” di Georges Simenon, un inutile delitto sul treno

Cadevano grossi fiocchi di neve che, toccato l’asfalto, si scioglievano. Cento metri più in là, sui binari della Gare du Nord, si sentivano fischiare i treni.
Il crimine non paga e si ritorce sempre su chi lo compie. Su questo si può discutere molto in letteratura. Per Simenon invece sembra essere una regola assoluta. Vale anche per Élie Nagéar che sul treno Bruxelles-Parigi ha ucciso brutalmente un uomo d’affari olandese per sottrargli una valigetta carica di bigliettoni. Non un delitto d’impeto, perché Nagéar aveva portato con sé una pesante chiave inglese appositamente comprata. L’uomo arriva in nave dalla Turchia, in apparenza è benestante, per vendere una partita di tappeti che però restano bloccati in dogana. Durante la traversata aveva conosciuto la belga Sylvie, entraîneuse di night club, e avviato con lei una relazione. A Bruxelles si sistemano in un grand hotel.
Dal letto, Élie poteva vedere il viale nero e luccicante dove si snodava una lunga carovana di tram. Vedeva anche il giardino botanico e le pozze più ostinate di neve, lo stagno mezzo gelato e tre cigni immobili in un rimasuglio di acqua scura.
Nello stesso albergo è sceso Van der Cruyssen, un omone ricco che Sylvie ha rinominato Van der Coso dopo che si è appartata con lui a bere champagne al night. Spiandolo in camera dal buco della serratura, Nagéar lo aveva visto che disponeva in valigia mazzette di banconote di grosso taglio. Così ha deciso di seguirlo. Il fattaccio avviene in uno scompartimento del vagone a cuccette che i due hanno condiviso. Sapere in quale punto della tratta è accaduto il delitto quando sarà scoperto, è molto importante. Se in territorio francese, l’assassino rischia la pena di morte. Se in Belgio, solo l’ergastolo. Tutta questa parte del romanzo costituisce solo il preambolo al nocciolo della vicenda.
Nagéar trova rifugio a Charleroi in una casa pensione per studenti gestita dalla madre di Sylvie. L’amante è decisamente più intraprendente di lui, si fa dare le banconote e cerca di cambiarle in pezzi di piccolo taglio. Ma l’operazione diventa pericolosa quando la polizia fa pubblicare sui giornali i numeri dei biglietti. Non resta che mettere tutto nella stufa.
Il bello del libro sta nell’atmosfera che si crea nella pensione. L’omicida in quella casa accogliente si trova ben protetto. Ha instaurato un ottimo rapporto con gli studenti di cui pare quasi un fratello maggiore, è coccolato dalla madre e dalla sorella di Sylvie e addirittura rispettato dal padre, un funzionario pubblico dipendente delle ferrovie. D’altra parte si era presentato a Charleroi sventolando un bigliettone come anticipo per il pagamento della sua pigione.
Lo trattava meglio degli altri perché credeva che pagasse di più. Aveva diritto a un pasto completo, seduto a capotavola, e la sera era il solo pensionante a vedersi servire carne e contorno, e il solo ad avere del fuoco in camera per tutto il giorno.
A tavola i discorsi vertono sulle banalità quotidiane, fino a quando i giornali non pubblicano i dettagli di quell’orribile omicidio. Nagéar è stato avvisato da Sylvie che la polizia è sulle sue tracce e lo scongiura di partire.
«Non capisce? Un uomo che in Francia rischia la pena di morte commette un delitto in Belgio. A rigor di logica, dev’essere giudicato in Belgio, dove è stato arrestato. E, sempre a rigor di logica, deve scontare lì la sua pena». Era pallido. Le labbra si contrassero in una smorfia che poteva ancora passare per un sorriso.
Infine, prima gli altri pensionanti, poi la stessa affittacamere cominciano a sospettare che l’assassino di cui parlano i giornali è proprio lui.
Il romanzo ha un finale inaspettato quando Élie Nagéar insieme ad altri forzati viene tradotto dall’allora prigione di Stato nell’ex abbazia di Fontevrault (vi fu rinchiuso anche Jean Genet, oggi è un importante centro nel sistema turistico del Pays de la Loire. Ndr), prima a La Rochelle, poi al bagno penale Saint-Martin all’île de Ré e, credo, infine alla Guyana.

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