Ho letto “San’kja” di Zachar Prilepin

I finestrini degli autobus erano chiusi da tendine che ogni tanto tremolavano. Dentro aspettavano. Aspettavano l’occasione per correre fuori con il corto manganello di caucciù saldo in pugno, in cerca di qualcuno da massacrare brutalmente, con goduria.
La Russia che ti aspetti, quella di Putin come quella dell’Ottocento, la Russia senza salvezza che “divora le anime” dei propri figli. Al Salone del Libro ho scoperto questo libro eccezionale che pone al centro un ragazzo proveniente dalla provincia russa, Aleksandr “Saša” (San’kja) Tišin. Figlio di un’infermiera che fatica al turno di notte e di un professore universitario morto alcolizzato, Saša è un utopista come solo lo sanno essere i giovani e ancor di più i figli della grande madre Russia. Sogna una patria che non esiste e arriva con quasi due secoli di ritardo rispetto ai nichilisti di Turgenev e Dostoevskji, come dire che dopo la fine del comunismo tutto è tornato come prima della rivoluzione d’ottobre, dove c’era uno zar ora c’è Putin.
Incomprensibili, strani, giovani, raccolti a uno a uno da ogni parte del paese, uniti non si sa bene da cosa, da un qualche segno, una tacca impressa dalla nascita.
Saša si unisce a una miriade di giovani arrabbiati con il mondo, senza idee precise, estremisti di difficile collocazione, che formano una sorta di partito – il partito rossobruno – che vorrebbe scatenare una nuova rivoluzione. Le azioni dimostrative si fanno sempre più ficcanti, dalle semplici manifestazioni di piazza all’uso delle armi e agli attentati mirati il passo è breve quanto scontato.
Saša partecipa ad uno di essi, l’uccisione di un giudice per la quale viene spedito fino a Riga.
Ad ogni incursione dei controllori Saša usciva nella piattaforma tra i vagoni e ne scrutava da dietro il vetro torbido le divise blu, i volti arcigni. Poi, alla prima fermata, scendeva, superava di corsa il vagone coi controllori e risaliva a sedersi in un angolo.
Ci sono anche pagine toccanti, come il lungo viaggio nella neve per portare la bara del padre al villaggio natìo, nelle quali emerge la parte migliore dell’animo del protagonista e trapela un barlume di possibilità di salvezza, prima della caduta definitiva, dalla quale un amico di famiglia che era stato allievo del padre cerca invano di trattenerlo.
“Che cosa avrei voglia di sognare? Va di merda quando hai vissuto un quarto di secolo e capisci di non aver voglia di sognare più niente.”
Tanto più che nella sgangherata banda di giovani Saša trova una sorta di nuova famiglia e l’amore di una ragazzetta, pur rimanendo legato alla madre, sempre più angosciata per le sue azioni.
La solitudine, pareva a Saša, è un miraggio, perché non si può rimanere veramente da soli con se stessi, fuori da tutti i riverberi lasciati in te da quanti ti sono passati accanto, senza quella copiosa scia di ferite, errori e amarezze.
Le azioni finali, sempre più eclatanti, sempre più disperate, sanciscono la fine dell’utopia e di ogni velleità rivoluzionaria. La Russia è destinata a non cambiare mai. Basta leggere le cronache di oggi.
“Voi avete dato la Russia in pasto alle vostre delusioni”.
Zachar Prilepin ha 37 anni, pelato alla Saviano, con occhi mobilissimi. Quando sorride è difficile immaginare dietro quel volto accattivante l’agente dei corpi speciali russi che ha ‘prestato servizio’ in Cecenia. Sembra piuttosto un calciatore della Dinamo…. Ora è un giornalista e scrittore di grande successo, vincitore di premi letterari e tradotto in tutto il mondo. Ma delle sue esperienze militari sono inevitabilmente piene le pagine dei suoi romanzi che pure riflettono la sua avversione per l’attuale politica russa. Romanzo sontuoso, da far leggere. Edito da Voland, ottima la traduzione di Enzo Striano.
“Se ci raschiamo via la scorza, il liberismo in Russia si configura come un’idea di accumulazione e di usura, mischiata alla famigerata libertà di scelta, cui voi, del resto, rinunciate senza problemi in nome della preservazione della componente, diciamo, economica della dottrina liberale.”

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1 risposta a Ho letto “San’kja” di Zachar Prilepin

  1. Mario Panzieri scrive:

    Anche io ho letto Prilepin, proprio San’kja e devo dire che all’inizio mi ha sconcertato il modo in cui scrive. Non mi aspettavo un’alternanza di orrore e di bellezza, ti spiazza sempre.

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