Ho letto “La biblioteca dei morti” di Glenn Cooper

Doomsday è veramente un serial killer come parrebbe? Per rispondere a questa domanda l’FBI scatena un suo agente ormai alle soglie della pensione, donnaiolo e beone (ma sono tutti così gli investigatori, i commissari, gli ispettori, gli agenti in letteratura? Magari non tutti esplicitamente donnaioli, ma tutti grandi bevitori. Ma essere sbronzi aiuta davvero nelle indagini? Bisognerebbe che qualcuno si prendesse la briga di catalogare le preferenze alcoliche dei vari Salvo Montalbano, Pepe Carvalho, Petra Delicado, Fabio Montale, tutti gli americani, gli scandinavi che vanno di moda, eccetera eccetera. Ne risulterebbe un file sorprendente).
Dunque Will Piper – così si chiama il nostro amico – si ritrova in una storia più grande di lui e degli stessi Stati Uniti. Una storiaccia che prende l’avvio sul finire del primo millennio e che riemerge alla fine della seconda guerra mondiale. Come tutti i panni sporchi degli americani, e forse dell’intero pianeta, la ‘storiaccia’ viene sepolta nel deserto del Nevada in quella zona blindatissima denominata ‘Area 51’. Senonché il solito impiegato infedele sfugge alla consegna del silenzio e riesce a esportare e usare i dati. Non racconto altro perché il romanzo avvince e deve essere scoperto seguendo il ritmo incalzante e i colpi di scena che rimbalzano nei tre piani temporali in cui è articolato: il medioevo, il dopoguerra, il 2009.
Capitatomi tra le mani per puro caso, “La biblioteca dei morti” mi ha appassionato e divertito solleticandomi anche alcune curiosità informatiche. Esiste già un sequel, sempre con Will Piper protagonista, a cui ora mi sarà difficile sfuggire.

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