In ricordo di Gigi Meroni

La breve parabola di calcio e di vita di Gigi Meroni ha riempito i miei anni adolescenziali, dai 13 ai 16.
Ricordo, come fosse ieri, il suo primo campionato in granata, 1964-65. Per la prima volta ero abbonato, curva Maratona naturalmente. Era un abbonamento ridotto per ragazzi, che doveva essere abbinato a uno da adulto e non comprendeva le partite di cartello, Juve, Milan, Inter. Ma ce n’era comunque abbastanza per divertirsi: quella squadra, diretta da ‘paron’ Rocco, aveva un gioco davvero spumeggiante. In casa quasi sempre vinceva di goleada: 3-1 a Fiorentina e Roma, 3-0 al Vicenza, 4-1 al Genoa, 4-0 al Bologna, 5-0 al Cagliari! Meroni non segnava molto, ma il modulo che prevedeva lo scambio continuo sulle fasce (all’ala, ma quanto era più bello dire ‘ala’ anziché ‘esterno’…..) tra lui e Gigi Simoni faceva ammattire gli avversari. La nostra difesa era arcigna (la terza per gol subiti), l’attacco il quarto del campionato. Al centro c’era Gerry Hitchens a buttarla dentro, ma segnava molto anche Giorgio Ferrini. Quel Toro, uno dei più belli che io ricordi, finì terzo, dietro Inter e Milan.
Meroni era entrato subito nei cuori dei tifosi. E i campionati successivi confermarono il suo talento. Ricordo ancora quel pomeriggio di Milano (12 marzo 1967) quando il Torello dell’ultimo anno di Rocco espugnò San Siro interista (forse ipotecando lo scudetto in favore degli odiati gobbi). Era l’Inter di Herrera, con mezza nazionale in squadra, che non perdeva mai in casa. Gigi li fece ammattire e segnò un gol memorabile. Mi vergogno un po’ a confessare che ero in discoteca, ma avevo la radiolina incollata all’orecchio per ascoltare le partite. Nessuno capì il mio urlo di gioia al gol di Meroni.
Ero invece allo stadio a vedere vincere il Toro con la Samp per 4 a 2 quel triste 15 ottobre 1967. Della morte di Meroni seppi solo la mattina dopo. Mia sorella venne a svegliarmi con La Stampa in mano, prima dell’ora solita per andare a scuola, forse erano le sei e mezza, e a raccogliere il mio pianto disperato. Non riesco a ricordare perché non andai al funerale, forse la scuola per mio padre era più importante, né a vedere il derby la domenica seguente, che comunque seguii con apprensione attraverso la solita radiolina.
Gigi Meroni vive. Eccome se vive. Nei ricordi di chi l’ha visto giocare (tante teste bianche oggi vicino al cippo di corso Re Umberto…) e anche di chi è venuto dopo e ha conosciuto la sua storia dall’infinità di libri e articoli che gli sono stati dedicati. Come quello di Enrico Deaglio su Repubblica la settimana scorsa, come quello di Ormezzano oggi sulla Stampa. Splendidi e toccanti, a cui non aggiungo nulla se non i miei ricordi di ragazzo.
Se c’è un giocatore di calcio a cui è lecito accostare la parola “mito” – così abusata nelle cronache sportive di tutti i tempi – questi è Luigi Meroni, detto Gigi.

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