Ho visto “The Sessions”

Mark O’Brien si è ammalato di poliomielite da bambino e dall’età di quattro anni vive paralizzato dal collo in giù in un polmone d’acciaio, da cui esce solo per qualche ora al giorno. Nonostante questo terribile handicap è riuscito a crearsi una propria vita e a diventare scrittore e poeta. A 38 anni però è conscio di non pter vivere una vita lunghissima e ha un solo desiderio, quello di non morire vergine. Per vincere le resistenze della rete di persone che lo circondano – amici e fisioterapiste – Mark si rivolge a un prete, padre Brendan, che da tempo lo assiste spiritualmente. Superato lo stupore per la richiesta, viene trovata la soluzione con il reclutamento di un’assistente sessuale, o sex therapist, che lo aiuti nei primi passi con il sesso. Con Cheryl inizia così un ciclo di sedute che lo porterà a provare i piaceri del sesso ed in seguito a vivere la propria sessualità con le persone che ama. “The Sessions”, diretto dal regista australiano Ben Lewin, è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival e distribuito nelle sale statunitensi da ottobre 2012. In anteprima per l’Italia è stato proiettato all’ultimo Torino Film Festival.
Il film tratta una storia vera e una materia da maneggiare con delicatezza. Il regista ci riesce pienamente e “The Sessions” commuove e insieme diverte e ha tutte le carte in regola per diventare un film-manifesto sui temi di handicap e sessualità. Difficile non trovare un parallelismo tra questa storia e quella di Rosanna Benzi, la coraggiosa ragazza vissuta per 29 anni in un polmone d’acciaio all’ospedale San Martino di Genova. Anche lei divenne scrittrice e si segnalò per il suo impegno sociale e le campagne a sostegno dei diritti dei disabili, anche quelli di natura sessuale che all’epoca, erano gli anni ’70-’80, scandalizzarono la parte di opinione pubblica più bigotta.
Mark O’Brien è morto a cinquant’anni dopo aver lasciato il libro “On Seeing a Sex Surrogate” su cui è basato il film. John Hawkes è perfetto nel ruolo del disabile. Helen Hunt – che tutti ricordano come l’insipida cameriera che riesce a domare il misantropo razzista Jack Nicholson in “Qualcosa è cambiato” (1997) – si cala perfettamente nell’imbarazzante parte di Cheryl e mette quel tocco di magìa nel rappresentare la delicata professione che le è valsa una nomination quale miglior attrice non protagonista agli ultimi Oscar. Infine, il suggestivo padre Brendan è interpretato dall’attore americano William Hall Macy, Jr. Se il nome non dice molto, il volto sì: è quello divenuto molto popolare con “Fargo” (1996) dei fratelli Cohen.

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