Ho visto “Italian Movies”

Con il cinema italiano siamo alle solite: quante occasioni sprecate. Eppure il soggetto era potenzialmente dirompente. Matteo Pellegrini (esordiente, arriva dalla pubblicità) avrebbe potuto farne una bomba di divertimento. Invece realizza un film con il freno a mano tirato. E’ una commedia, perché una storia così deve essere una commedia. Ma non si sorride, nonostante i ragazzi siano tutti bravi. Solo che non si lasciano andare. E allora prevalgono le storie personali (per lo più tristi) rispetto alla vicenda corale. Che è quella di un gruppo di lavoratori di una cooperativa: addetti nottetempo alle pulizie di un centro di produzioni televisive che ha conosciuto tempi migliori e che ora è usato per produrre soap opera di quart’ordine. L’eterogenea combriccola (quasi tutti stranieri di varie etnie) ‘prende in prestito’ una telecamera per realizzare un filmato di nozze. C’è chi ci sta e chi no, ma poi si adeguano tutti. La particolare start up decolla e diventa una vera e propria attività d’impresa, truffaldina naturalmente, perché all’insaputa dei datori di lavoro. Dapprima operano all’esterno, lavorando a matrimoni etnici che danno molto soddisfazione economica e qualche rischio. Poi ripiegano su clip, girate in interni, sempre di notte dopo aver addormentato il guardiano notturno, di gente comune (tutti rigorosamente stranieri) che desidera mandare un video ai propri cari. E lì si sviluppa tutta la creatività degli improvvisati operatori televisivi. Che poi è quella consentita dagli studi Lumiq di corso Lombardia a Torino: grandi potenzialità e una storia decennale che ormai volge dolorosamente (per i soldi pubblici che sono costati) al tramonto. Ma questa è un’altra storia.
Va da sé che i  nostri eroi vengono infine scoperti, ma tutto si aggiusta con una soluzione all’italiana. Magari fosse sempre così: nella realtà crisi di questo genere si risolvono in conflitti sociali a lungo termine. Qui siamo invece di fronte a una favoletta e l’indiano, il senegalese, il russo, l’albanese – ci sono anche due italiani – trovano un futuro che non è più nell’impresa di pulizie.
Gigioneggia Filippo Timi, piace Anita Kravos, bravi i torinesi Michele Di Mauro e Tiziana Catalano, facce quasi nuove per gli schermi tutti gli altri, in un cast che più multietnico non si può. Si distingue però la faccia da ‘drugant’ (si direbbe a Torino) di Aleksej Gennad’evič Gus’kov, noto al grande pubblico per essere stato il protagonista del film “Il Concerto” di Radu Mihăileanu. Era il direttore d’orchestra Andrei Filipov.
Film che si può vedere, ma si poteva fare molto meglio.

 

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