Ho letto “Dannazione” di Chuck Palahniuk

Mettetevi comodi in poltrona e preparatevi ad un viaggio all’inferno. Certo, però dovete amare Palahniuk e averlo apprezzato per qualche altro suo libro. A fare da novello Virgilio in questa sorta di “Divina Commedia” postmoderna provvede la tredicenne Madison Spencer, americana di ricchissima famiglia, giunta agli inferi per un maldestro e malriuscito tentativo di gioco erotico con il fratellastro. Ma non spaventatevi perché Maddy ci mette subito a nostro agio.
Fidatevi, essere morti è più facile che morire. Se sei una che in vita riesce a guardare un sacco di televisione, allora essere morta sarà una passeggiata. Anzi, direi che guardare la tele e stare su Internet sono un ottimo allenamento …per la morte.
E ancora: Essere morti è la quintessenza del concetto “viaggiare leggeri”.
Oppure, proseguendo nella sua premessa prima di accompagnarci veramente all’inferno, Maddy ci spiega che La morte è un Errore Enorme che nessuno di noi progetta mai di fare. Ecco perché il pane di crusca e le colonscopie. Ecco perché si prendono le vitamine e si fanno i pap test.
Il mondo infernale che ci descrive è alquanto diverso da quello di Dante Alighieri che mi spiace dirlo, ha rifilato al pubblico dei lettori una generosa dose di pittoresca finzione.
Qui si è condannati a vedere in un eterno loop “Il paziente inglese” e “Lezioni di piano” e quanto all’odore, l’inferno non è niente in confronto a Napoli quando non raccolgono l’immondizia, soprattutto d’estate. E scordatevi di portarvi il cellulare perché, anche se siete stati così lungimiranti da morire con il telefono in mano, all’inferno non ci sono prese compatibili con il caricabatterie.
Madison ci descrive la geografia del posto, dal Deserto di forfora al Grande oceano di sperma sprecato, dal Mar d’insetti alle Colline delle unghie tagliate, dai Monti di cacca di cane fumante alle Foreste di funghi dei piedi, alle Paludi di sudore rancido e così via. Poi introduce alcuni personaggi che abitano da quelle parti: Robert Mapplethorpe (chi l’avrebbe detto…), Hitler naturalmente, Gengis Kahn, Caino, Marilyn Monroe, Ava Gardner, John F. Kennedy e John Lennon, Jimy Hendrix, Nureyev, Morrison, Joplin, Cobain, Susan Sontag, i giornalisti, le persone con i capelli rossi, che a confronto la sala vip del paradiso è piuttosto scialba….
Perché andare a finire all’inferno è semplice e Palahniuk attraverso la nostra eroina ci illustra alcuni modi: imburrare il pane prima di spezzarlo, dire “a me mi”, sistemare un orlo scucito con lo scotch e poi andiamo sul pesante perché la legge divina non consente di suonare il clacson più di 500 volte nella vita, di gettare a terra più di 100 mozziconi, di fare le puzzette in più di tre ascensori affollati diversi o la pipì nell’acqua di più di due piscine.
Maddy Spencer ci racconta anche la sua dorata vita da viva, nelle case dei genitori sparse per il mondo, il papà produttore (“Le donne mangiano per nutrire la passera”), la mamma attrice da Oscar (“Gli uomini eccedono con l’alcol perché ad avere sete sono i loro peni”). E’ normale quindi che la bambina cresca in un college svizzero e che soprannomini le sue compagne Zoccola von Zoccolis, Ninfetta Ninfomanheimer, Mignotta Vandermignotts, Sgualdra de Sgualdrinis, Troia von Troian, che sono quelle che determineranno la sua morte. All’inferno troverà nuovi amichetti e anche un lavoro al call center, dal quale si comunica con i vivi ormai prossimi alla dipartita.
Scritto in puro “stile Palahniuk”, il romanzo è molto divertente, ricco di trovate sorprendenti e di grande fantasia. Ci ho trovato anche alcune riflessioni interessanti, come questa.
La morte è un processo lungo. Il corpo è soltanto la prima delle cose che schiattano. Il senso è: poi devono morire i sogni. E poi le aspettative. E la rabbia per aver dedicato una vita intera a imparare cose e amare persone e guadagnare soldi, per poi scoprire che di tutte quelle cagate non ti resta niente. Poi devono morire i ricordi. E l’ego. L’orgoglio e la vergogna e l’ambizione e la speranza, tutte quelle stronzate dell’identità possono metterci secoli a scomparire.
Mentre finivo questo libro (casualmente nei giorni a ridosso della festività di Ognissanti e della ricorrenza dei Defunti…) mi è capitato di leggere la bella intervista di Silvia Ronchey fatta a James Hillman pochi giorni prima della sua morte e pubblicata sabato 29 ottobre sulla Stampa. L’illustre psicoanalista americano spiegava come cominciare a morire: Si comincia svuotandosi. (…)Si comincia a svuotarsi degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose cominciano a sparire, resta un’enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo.
Che è il rovescio serio della medaglia di quanto ha scritto in maniera molto pulp Chuck Palahniuk in “Dannazione”.
Da ultimo un plauso a Matteo Colombo, il traduttore che ancora una volta rende in maniera molto efficace il marasma letterario dello scrittore americano.

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Libri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*