Ho letto “La catastròfa” di Paolo Di Stefano

La catastrofe di Marcinelle dell’8 agosto 1956 non è stata una disgrazia dovuta al fato, ma un insieme di errori, di negligenze, di disorganizzazione, di imprevidenze, quand’anche non di premeditazione, una premeditazione ben inteso che è andata al di là delle intenzioni. Tutto questo aveva prodotto un incidente passato alla storia: 262 morti, di cui 136 italiani, nella miniera situata nel distretto carbonifero di Charleroi, in Belgio.
Il giornalista Paolo Di Stefano ricostruisce i fatti – per altro già oggetto di tanti libri e documentari nel corso degli anni – lasciando parlare i reduci di quei giorni: chi scampò per caso alla morte perché malato o perché aveva lavorato nel turno appena precedente e poi le mogli e i figli degli scomparsi. E tra questi c’è ancora chi non si dà pace, si interroga, fa appelli e indaga per proprio conto sulla catastròfa, come la chiamano gli emigrati, italianizzando il francese a cui si sono ormai abituati.
Tante storie di poveri italiani che dal 1946 in poi avevano risposto ad un appello del nostro Governo per andare a faticare in Belgio. Braccia in cambio di carbone, secondo un accordo tra Roma e Bruxelles. “Per ogni scaglione di mille operai italiani che lavoreranno nelle miniere, il Belgio esporterà verso l’Italia: tonn. 2500 mensili di carbone, se la produzione mensile sarà inferiore a tonn. 1.750.000; tonn. 3500 se la produzione sarà compresa tra 1.700.000 e 2.000.000 tonn.” e così via. Insomma, un brutale cambio merci.
Di Stefano diligentemente alterna le interviste a documenti dell’epoca e a stralci dei vari processi, che si conclusero con condanne che sapevano di burla rispetto all’enormità dell’accaduto e con la sparizione del minatore che con un banale errore di carico di un montacarichi diede origine al disastro. Tal Iannetta fu aiutato a partire per il Canada pochi giorni dopo la catastròfa dove rimase come sepolto vivo per quasi tutta la vita. Raggiunto solamente, decenni dopo, da chi si ostinava ancora a cercare la verità.
E’ proprio un bel libro: appassionante come un romanzo, a tratti commovente. Storie di povertà e di riscatto sociale, uno spaccato lucido dell’emigrazione italiana di quegli anni.

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