Ho visto “Selma – La strada per la libertà” di Ava DuVernay

Selma in Alabama è una cittadina simbolo degli Stati Uniti perché nella primavera del 1965 venne scelta da Martin Luther King, che da pochi mesi aveva ricevuto il Premio Nobel per la Pace, per manifestare pacificamente contro gli ostacoli che ancora impedivano il voto ai neri in alcuni stati del sud, nonostante la Costituzione già lo prevedesse. La giovane regista afroamericana Ava DuVernay racconta quei concitati e drammatici giorni in un film a cui insieme ad un’accurata ricostruzione storica giova una scelta degli attori assolutamente compatibile con i personaggi originali: due nomi per tutti, David Oyelowo (King) e Nigel Thatch (Malcolm X). Quei giorni furono caratterizzati da tre marce. La prima è ricordata come il “Bloody Sunday” perché i 550 attivisti che stavano procedendo verso il Pettus Bridge, dopo pochi isolati furono attaccati e dispersi dalla polizia con manganelli e gas lacrimogeni. In quell’occasione il giovane Jimmie Lee Jackson, che cercava di difendere il nonno e si era rifugiato con lui in un bar di negri, venne ucciso a sangue freddo da un poliziotto. La seconda marcia si tenne qualche giorno dopo e i manifestanti crebbero a oltre 2500 perché le immagini della marcia precedente, prodotte e diffuse dalle tv, avevano fatto accorrere sul posto per testimoniare solidarietà anche molti bianchi provenienti da altri stati. Quella volta King guidò i pacifisti che intendevano raggiungere Montgomery, capitale dello stato dell’Alabama, fin oltre il ponte ma poi preferì ritirarsi perché aveva subodorato una trappola da parte degli uomini dello sceriffo. Intanto fervevano le riunioni alla Casa Bianca: Martin Luther King incontra più volte il presidente Johnson e gli manifesta l’intenzione di rivolgersi al tribunale per far rimuovere l’ordinanza che impediva la marcia pacifica. L’ostacolo principale era George Wallace, il governatore razzista dell’Alabama. Ma il giudice diede ragione al movimento di King e la marcia si tenne, con migliaia di partecipanti e una grande scorta dell’esercito statunitense. Il film si chiude con l’accorato discorso di Martin Luther King davanti al Campidoglio di Montgomery.
Ava DuVernay fa conoscere (o rivivere) una pagina di storia importante puntando molto sugli aspetti emozionali e restituendo più umanità (e meno agiografia) alla figura del pastore protestante, non a caso ripreso anche nei momenti privati con la moglie Coretta, mostrandone i dubbi e le incertezze di fronte alle grandi responsabilità che doveva assumersi. Prodotto tra gli altri da Brad Pitt e Oprah Winfrey, che si ritaglia il ruolo di un’attivista, Selma partecipa al caravanserraglio degli Oscar domenica sera con due nomination (miglior film e miglior canzone, Glory, interpretata da John Legend e dal rapper Common).
Nel ricco cast ci sono Carmen Ejogo (Coretta Scott King), Tim Roth (un efficace George Wallace), Cuba Gooding Jr., Dylan Baker (J. Edgar Hoover), Giovanni Ribisi, Alessandro Nivola e soprattutto Tom Wilkinson che ci regala un indovinato Lyndon B. Johnson, personaggio indeciso e fragile, a sorpresa assai distante da quello a cui nel ’68 gridavamo Johnson boia, Johnson boia, giù le mani dal Vietnam!

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